Contro il fantasma del debito

Marina Valensise

“La crisi del debito non riguarda i paesi deficitari della Ue, ma l’euro. La sfiducia degli investitori nasce dall’incapacità degli stati di abbandonare un modello di crescita fondato sul credito. L’unico modo di uscirne è monetizzare i debiti sovrani, trasformando la Bce in prestatore di ultima istanza”. Un mese fa l’economista liberale Nicolas Baverez metteva in guardia i lettori del settimanale francese Le Point. Oggi col Foglio Baverez, paladino in patria di una visione antideclinista, rincara la dose.

    “La crisi del debito non riguarda i paesi deficitari della Ue, ma l’euro. La sfiducia degli investitori nasce dall’incapacità degli stati di abbandonare un modello di crescita fondato sul credito. L’unico modo di uscirne è monetizzare i debiti sovrani, trasformando la Bce in prestatore di ultima istanza”. Un mese fa l’economista liberale Nicolas Baverez metteva in guardia i lettori del settimanale francese Le Point. Oggi col Foglio Baverez, paladino in patria di una visione antideclinista, rincara la dose. “Il 2012 inizia con gli stessi problemi non risolti. Da più di due anni la Grecia è in situazione di default, l’Europa si riunisce senza trovare una soluzione, l’attuale crisi continuerà ad aggravarsi. Gli stati dell’Eurozona puntano su 800 miliardi per uscirne, ma la sfiducia di mercati e investitori riguarda gli stati e le banche”. Inoltre, il calendario non aiuta. “Il 9 gennaio, le agenzie di rating certificheranno la perdita della tripla A per la Francia, con gravi conseguenze sul meccanismo del Fondo di stabilità, che diventerà insufficiente. Quanto all’emissione di Eurobond sarebbe un’ottima idea, se non avesse tempi lunghi di realizzazione, di circa 18 mesi o due anni che ne riducono l’efficacia. L’unico modo di salvare l’euro è quello di trasformare la Bce in prestatore di ultima istanza per monetizzare i debiti, cosa possibile, ora che abbiamo stabilito il controllo dei deficit. Ma la Germania, com’è noto, vi si oppone”.

    Intanto, Paul Krugman, sul New York Times, ricorda come il debito della Seconda guerra mondiale non sia mai stato ripagato. “E’ vero che è stato riassorbito dall’inflazione e dalla crescita, ma Krugman ha torto: il contesto attuale è diverso. Allora c’era la ricostruzione, la demografia in espansione, una crescita dinamica, col welfare e la riapertura progressiva dei mercati in America e in Europa. Oggi invece il debito è prodotto da un modello di crescita a credito in cui i grandi paesi sviluppati hanno distribuito potere d’acquisto fittizio, che andava al di là della ricchezza prodotta. Quindi non c’è alternativa: bisogna rimettere la distribuzione della ricchezza e i consumi in linea con la capacità di produzione. A farlo infatti non sarà l’inflazione”.

    Ma puntare sull’austerità nei conti pubblici non rischia di compromettere la stessa crescita? “Krugman ha ragione quando dice che è aberrante, in pieno rallentamento dell’economia mondiale, organizzare un’austerità di bilancio massima e simultanea; organizzare un crollo del credito, inducendo le banche da qui a sei mesi a dotarsi di fondi propri, il che vuol dire bloccare il credito e licenziare migliaia di persone, col risultato di sterilizzare la politica monetaria, impedendole di avere un impatto positivo. In questo modo, si finisce per provocare deflazione in Europa. Bisogna mettere ordine nei conti pubblici, è vero, ma in modo intelligente; e cioè programmando sulla lunga durata, adottando una politica monetaria più morbida e una politica di rilancio in Germania e nei paesi del nord Europa, che possono tagliare le tasse, aumentare i consumi e soprattutto investire nei paesi del sud Europa”.