L'isteria dell'austerity
L’austerity ci ucciderà tutti, non solo nel lungo ma anche nel breve periodo. E’ questo il succo dell’ennesimo editoriale di ieri sul New York Times di Paul Krugman (“Nessuno capisce il debito”) in cui il premio Nobel si lancia nell’affondo forse più keynesiano della sua lunga carriera. “I critici della spesa in deficit – scrive Krugman – dipingono uno scenario in cui saremo impoveriti dal bisogno di ripagare il denaro preso in prestito. Vedono l’America come una famiglia che ha preso un mutuo troppo alto e che passerà i guai nel ripagare le rate mensili”.
L’austerity ci ucciderà tutti, non solo nel lungo ma anche nel breve periodo. E’ questo il succo dell’ennesimo editoriale di ieri sul New York Times di Paul Krugman (“Nessuno capisce il debito”) in cui il premio Nobel si lancia nell’affondo forse più keynesiano della sua lunga carriera. “I critici della spesa in deficit – scrive Krugman – dipingono uno scenario in cui saremo impoveriti dal bisogno di ripagare il denaro preso in prestito. Vedono l’America come una famiglia che ha preso un mutuo troppo alto e che passerà i guai nel ripagare le rate mensili”. Ma l’analogia stato-famiglia, continua Krugman, è “sbagliata almeno per due motivi: primo, le famiglie devono ripagare i debiti, ma lo stato no, l’unica cosa che deve fare è assicurarsi che il debito cresca meno della base fiscale (…); secondo, una famiglia sovraindebitata deve denaro a estranei, ma gli Stati Uniti devono denaro a se stessi”. Insomma, pensiero keynesiano in purezza, rivolto agli States che pure stanno registrando qualche segnale di miglioramento economico: secondo il dipartimento del Lavoro, era dall’estate del 2008 che le richieste di sussidi di disoccupazione non erano così basse come nelle prime quattro settimane di dicembre. Secondo Maury Harris, capo economista di Ubs Securities, “si avvertono segnali di decoupling”, cioè di sganciamento, in questo caso degli States dalla crisi generale e soprattutto da quella europea. Harris, che secondo Bloomberg è a capo della squadra di analisti che ha dato le previsioni più accurate sull’economia americana in questi due ultimi anni, prevede che “sarà un anno passabile per gli Stati Uniti, mentre il resto del mondo peggiorerà”.
Anche l’indice della fiducia dei consumatori americani è cresciuto sia a novembre sia a dicembre, e “con meno sussidi e con la fiducia in aumento, si può dire che qualcosa si sta muovendo”, dice sempre Harris, secondo cui il pil americano dovrebbe crescere del 2,1 per cento nel 2012, mentre per l’Europa prevede una contrazione dello 0,2 per cento. Già, il Vecchio continente dovrebbe rimanere al palo. Il cancelliere tedesco Angela Merkel ha detto chiaramente che “il 2012 sarà senza dubbio un anno peggiore di quello precedente”. Ieri qualche timido segnale positivo è arrivato proprio sul fronte tedesco, dove il settore manifatturiero ha registrato, per il terzo mese consecutivo, una contrazione, ma meno accentuata dei mesi precedenti: il Purchasing Managers’ Index a dicembre è infatti salito a 48,4 dal 47,9 registrato a novembre e oltre le stime degli analisti, anche se resta sotto la soglia di 50 che separa la contrazione dalla crescita. Sarà un caso, ma ieri Jacek Rostowski, ministro delle Finanze della molto “atlantica” Polonia, ha aperto alla possibilità che la Banca centrale di Varsavia intervenga in stile Fed per acquistare i titoli di stato, viste le ritrosie della Bce.
Mentre la sperata ripresa americana fa riflettere sulle politiche di stimolo messe in atto negli ultimi anni, crescono le voci critiche sulle politiche di austerity che rimangono prerogativa europea. “Con questa politica stiamo andando contro un muro. E’ follia totale”, ha detto al New York Times Charles Wyplosz, professore di Economia internazionale a Ginevra. Secondo Wyplosz, i governi dovrebbero bloccare i recenti aumenti fiscali e invece tagliare le tasse sui consumi, nel tentativo di incoraggiare gli acquisti da parte dei consumatori. Ulteriori misure di austerity aumentano la probabilità che l’Europa finisca in un “decennio perduto” come il Giappone degli anni 90.
Anche Amartya Sen si è scagliato contro l’austerità: parlando in una recente conferenza organizzata dal ministero delle Finanze indiano, il premio Nobel per l’Economia ha detto che le misure di austerità messe in atto dai governi europei sono “una catastrofe che si autoalimenta”. “I tagli indiscriminati alla spesa pubblica rischiano di stroncare sul nascere la ripresa” ha detto Sen, che ha lanciato anche un pubblico appello, riportato dal Financial Times, ai governi Ue, perché “vadano a studiare gli anni del Dopoguerra e quelli della Amministrazione Clinton, quando la crescita (e non i tagli) hanno contribuito a ridurre il debito pubblico”.
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