Altro che i missili
La moneta iraniana, il rial, scivola e tocca il record negativo contro il dollaro dopo l’annuncio da parte dell’Amministrazione americana delle sanzioni più dure adottate fino a oggi contro Teheran. Per l’agenzia di stato Irna e anche per il sito governativo che segue l’andamento della moneta, ora la quotazione negli uffici dei cambiavalute è di 16 mila per un dollaro americano, che è una differenza enorme con il tasso di cambio ufficiale mantenuto ancora dalla Banca centrale del paese a 11.179.
La moneta iraniana, il rial, scivola e tocca il record negativo contro il dollaro dopo l’annuncio da parte dell’Amministrazione americana delle sanzioni più dure adottate fino a oggi contro Teheran. Per l’agenzia di stato Irna e anche per il sito governativo che segue l’andamento della moneta, ora la quotazione negli uffici dei cambiavalute è di 16 mila per un dollaro americano, che è una differenza enorme con il tasso di cambio ufficiale mantenuto ancora dalla Banca centrale del paese a 11.179. Lo spread tra il tasso di strada e il tasso ufficiale è la reazione dell’economia reale dell’Iran alla legge firmata sabato dal presidente americano, Barack Obama, che punisce le transazioni con la Banca centrale di Teheran. Le nuove sanzioni entreranno in vigore tra 60 giorni e l’applicazione più stretta comincerà tra sei mesi: in sostanza mettono tutti – anche le Banche centrali dei governi – davanti a una scelta definitiva: chi fa affari con la Banca centrale iraniana non può più fare affari con gli Stati Uniti (che hanno un mercato da cui nessuno vuole chiudersi fuori). Il presidente Obama si è concesso una clausola che gli consente permessi temporanei da 120 giorni per ragioni di interesse nazionale o per salvaguardare la stabilità del mercato energetico, e una seconda clausola esclude le sanzioni contro paesi che abbiano già tagliato gli affari con l’Iran.
Si tratta di misure già imposte alle imprese americane, ma ora l’Amministrazione spera di essere seguita anche dai paesi europei, per renderle più efficaci. Considerato che dalla Banca centrale dell’Iran, la Banca Markazi, passa il denaro pagato dai governi e dagli acquirenti stranieri per onorare i contratti petroliferi e che quel denaro è l’80 per cento dei proventi del governo, è come se Washington stesse per bloccare lo Stretto di Hormuz economico degli iraniani, non in mare ma negli uffici del Mirdamad Boulevard nella capitale.
Le sanzioni fanno parte del National Defense Authorization Act, un pacchetto di leggi contro il terrorismo, ma rischiano di avere riflessi importanti sul mercato del petrolio e di conseguenza anche sull’economia mondiale.
Il timore che queste sanzioni siano efficaci ha spinto il regime iraniano – già indebolito da un’economia in crisi – a definire la loro adozione “un atto di guerra” (anche il candidato repubblicano americano Ron Paul si scandalizza dallo Iowa: “E’ un atto di guerra, l’Iran farà bene a chiudere lo Stretto di Hormuz per risposta”). E’ il paradosso della Guerra fredda tra Washington, Gerusalemme e gli stati arabi da una parte e l’Iran dall’altra: il regime non riconosce gli atti di sabotaggio come aggressioni perché teme di apparire debole davanti agli iraniani e ignora le accuse intollerabili sull’essere uno sponsor del terrorismo da Gaza a Beirut a Baghdad; ma reagisce alle sanzioni con manovre militari e annunci nucleari. Ieri, alla conclusione di dieci giorni di esercitazioni navali nel Golfo, ha sparato due missili contro obiettivi nello Stretto di Hormuz, il Qader (il Capace) e il Nour (la Luce).
A dispetto della definizione “a lunga gittata”, si tratta di ordigni che non colpiscono oltre i 200 chilometri. E’ stata anche provata una “formazione tattica” delle navi per sbarrare il passaggio alle petroliere, anche se gli analisti dubitano delle reali capacità di chiudere il passaggio per più di qualche giorno.
Più che lo spettacolo già visto nel Golfo, può il progresso nella tecnologia atomica. Domenica l’Iran ha annunciato la produzione della sua prima barra di combustibile nucleare per un reattore civile. Viene a cadere così la proposta – a lungo sostenuta dalla Russia – di un’amministrazione controllata da parte di paesi terzi, che si impegnerebbero a fornire loro il combustibile per i reattori iraniani in modo da tenere sotto meticoloso controllo uso, quantità e circolazione del materiale. L’Iran ha appena aperto a nuovi colloqui, ma quella chance di mediazione non esiste più.
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