I lavorii della Fornero

Michele Arnese

Partiranno il 9 gennaio e finiranno il 15 gli incontri del ministro Elsa Fornero con i sindacati per la riforma del lavoro. Incontri separati con i singoli sindacati. Nessun tavolo concertativo, quindi, in cui le organizzazioni dei lavoratori possono spuntare richieste di altro tipo.

    Partiranno il 9 gennaio e finiranno il 15 gli incontri del ministro Elsa Fornero con i sindacati per la riforma del lavoro. Incontri separati con i singoli sindacati. Nessun tavolo concertativo, quindi, in cui le organizzazioni dei lavoratori possono spuntare richieste di altro tipo. Si parlerà solo e soltanto di contratti, flessibilità e magari di nuovi ammortizzatori sociali. Nel centrosinistra si profila già un’intesa: su una terza via tra progetto Boeri-Garibaldi e proposta Damiano.

    L’obiettivo del premier è quello di poter annunciare già alla riunione dell’Eurogruppo il 23 gennaio un’intesa di massima, se non un accordo definitivo. I modelli riformatori sono in sostanza tre. C’è il progetto del senatore pd, il giuslavorista Pietro Ichino, quello degli economisti liberal Tito Boeri e Pietro Garibaldi, trasposto in una proposta di legge del pd Paolo Nerozzi (ex Cgil) e la proposta dell’ex ministro ds, Cesare Damiano. Il progetto di Ichino, citato quando era premier anche da Silvio Berlusconi con il rammarico dell’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, prevede un contratto unico a tempo indeterminato per tutti i nuovi assunti in cui non si applicherà l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (ci sarà un indennizzo economico al posto dell’obbligo del reintegro) e indennità di disoccupazione decrescente. Boeri e Garibaldi, quindi anche Nerozzi, consigliano un contratto unico a tempo indeterminato in cui nei primi anni non c’è la tutela dell’articolo 18.

    L’ex ministro Damiano auspica un contratto di inserimento per tre anni, in cui il rapporto di lavoro è sempre rescindibile; dopo i tre anni scatta l’assunzione a tempo indeterminato. Le indiscrezioni governative raccontano di una preferenza del premier per il progetto Ichino e un’impostazione di Fornero più vicina a quella del modello Boeri-Garibaldi e della proposta di Damiano. Indiscrezioni non confermate: “Non abbiamo alcun canovaccio pronto”, dicono al dicastero retto da Fornero. Quel che è certo è quanto scritto alcune settimane fa, quando era ancora docente di Economia all’Università di Torino, dall’attuale ministro del Lavoro.

    Fornero, nota da due decenni agli addetti ai lavori per gli studi accademici e anche per i suoi interventi da editorialista sul Sole 24 Ore, si è sempre espressa sulla previdenza, suo tradizionale settore di competenza. Sono pochi invece gli scritti su contratti e mercato del lavoro. Per questo gli iscritti alla newsletter Nuovi Lavori dell’omonima associazione hanno letto con attenzione un saggio della Fornero intitolato “L’obiettivo è un sistema di flexsecurity”. Un appoggio al progetto Ichino? Non proprio, infatti il ministro definisce “una via percorribile ed efficace” quella delineata da Boeri e Garibaldi, quest’ultimo collega di Fornero all’Istituto Carlo Alberto di Torino. Il contratto unico di lavoro proposto dai due economisti, scriveva la Fornero, è “in grado di conciliare la flessibilità in ingresso richiesta dalle imprese con l’aspirazione alla stabilità rivendicata dai lavoratori”. La licenziabilità dei lavoratori, aggiungeva il docente, “dovrebbe diventare progressivamente più difficile mano a mano che il lavoratore acquisisce esperienza e diventa più produttivo”.
    Se l’obiettivo è quello di favorire nuova occupazione, è dubbio – secondo Fornero – che possa bastare una riduzione della convenienza per le imprese verso forme contrattuali precarie a spostare il peso dell’occupazione a favore dei contratti a tempo indeterminato. Secondo l’impostazione dell’economista Fornero, il contratto potrebbe essere modellato in modo da adattarsi maggiormente sia alle diverse esigenze del ciclo di vita delle persone sia alle esigenze delle imprese, con una retribuzione e condizioni di impiego commisurate alla produttività.

    Nelle analisi accademiche del ministro c’è un continuo richiamo alle esperienze positive di alcuni paesi del nord Europa. Un’attenzione particolare deve essere riservata ai modelli di lavoro “olandese, danese e svedese”. Si andrebbe così, concludeva Fornero, “verso quel modello di flessibilità di sicurezza, detto flexsecurity che consente, soprattutto nei Paesi Bassi, la presenza, all’interno di un nucleo famigliare di un lavoratore o lavoratrice a tempo pieno e un altro a tempo parziale, in grado di adempiere alle incombenze famigliari”.
    La nozione di contratto unico, che supera le forme flessibili della legge Biagi, il riferimento ai modelli nordeuropei e l’ipotesi di reddito minimo di garanzia sono i tre aspetti su cui si concentrano le critiche dell’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi (Pdl), critico verso un “approccio di tipo giacobino, illuministico, basato solo sullo stato”, come ha detto ieri al Corriere della Sera, criticando gli “effetti demotivanti” che avrebbe il salario minimo garantito.

    Al di là delle schermaglie sindacali e partitiche, nel centrosinistra si sta profilando una convergenza di fatto tra le proposte di Nerozzi e di Damiano che hanno divergenze solo nominalistiche, si dice dai vertici del Partito democratico. Per bilanciare la maggiore flessibilità in uscita, serviranno comunque maggiori risorse per gli ammortizzatori sociali. Il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli, sulla base di stime della Ragioneria, ha detto che il paese non può permettersi riforme troppo dispendiose per il bilancio dello stato. Per l’ex ministro Damiano una soluzione c’è: “Una parte dei consistenti risparmi che negli anni arriveranno dalla riforma previdenziale possono essere utilizzati per migliorare gli ammortizzatori sociali”.