Sfida virtuale
Calcioscommesse 1980 - Calcioscommesse 2011. Sul campo non ci sarebbe partita
Andrea Agnelli ha detto che la Juventus di Capello, quella sbranata da Calciopoli, vincerebbe 3-0 contro l’Inter del triplete. Nessuno può sapere se effettivamente sarebbe così, ma noi prendiamo per buono il giochino e lo applichiamo mettendo di fronte la formazione ideale (si fa per dire) dello scandalo scommesse del 1980 contro quella dell’attuale inchiesta Last bet.
Andrea Agnelli ha detto che la Juventus di Capello, quella sbranata da Calciopoli, vincerebbe 3-0 contro l’Inter del triplete. Nessuno può sapere se effettivamente sarebbe così, ma noi prendiamo per buono il giochino e lo applichiamo mettendo di fronte la formazione ideale (si fa per dire) dello scandalo scommesse del 1980 contro quella dell’attuale inchiesta Last bet. Senza dimenticare che nel primo caso parliamo di giocatori condannati e poi amnistiati (chi ancora stava scontando la squalifica) per la vittoria mondiale dell’82, nel secondo è tutto ancora aperto e solo la chiusura dell'inchiesta stabilirà in via definitiva responsabilità soggettive, oggettive, reati e condanne.
L’aveva detto anche Carlo Petrini, dopo aver scritto "Nel fango del dio pallone", che quelli dell’80 erano dei pivelli rispetto a quelli dell’86, altro giro altra corsa della maratona non stop che dal 1912 ammorba il calcio italiano. Fango, ossa rotte e scandali, secondo la morale dell’epoca, perché Sardi, Santamaria e poi Allemandi non hanno niente a che vedere con Paoloni e Gervasoni, ma tant’è anche loro sono iscritti al club dell’infame colonna pallonara.
Ciclici scivoloni di uno sport che Gianni Rivera, nel lontano 1969, definiva né migliore né peggiore ma uguale alla società in cui era immerso.
Insomma, da una parte due personaggi alla "Soliti ignoti" come Trinca e Cruciani con il fior fiore della serie A (basti pensare a Paolo Rossi, dichiaratosi sempre innocente, e Bruno Giordano), dall’altra un’organizzazione internazionale della quale non conosciamo ancora le pieghe più nere con un’accozzaglia di seconde scelte (sempre che l’inchiesta confermi le accuse formulate) in cui svettano solamente Giuseppe Signori e Cristiano Doni. Entrambi hanno vestito la maglia della Nazionale, il primo guardando dalla panchina una finale mondiale, il secondo nella sciagurata avventura del 2002, ma dopo è stata una discesa, sportiva, senza freni e qualche sussulto. Luigi Sartor s’è fermato a diciassette anni, quando la Juventus lo compra per 1 miliardo di vecchie lire, un record, il solo di una carriera onesta ma lontana dalle aspettative giovaniliste. Il resto è cronaca di questi giorni, facce assonnate, barbe lunghe, confessioni fiume, fighi come in Romanzo criminale ma impauriti come Sordi in Un giorno in pretura: “c’ho avuto a malattia”.
In un’ipotetica hall of fame di pallonari (di nome e di fatto) nessuno dei ragazzi di oggi troverebbe spazio nel 3-4-3 degli anni Ottanta. Albertosi in porta, Della Martira, Zecchini e Wilson in difesa, Morini, Cordova, Colomba e Manfredonia a centrocampo, Paolo Rossi, Giordano e Savoldi in attacco. E con quella mediana lì si sarebbe potuto fare anche il rombo con Colomba vertice basso, ma senza il tridente. Dall’altra parte del campo il 3-5-2 di questi giorni. Paoloni in porta (e chi sennò), Zamperini, Gervasoni e Sartor in difesa, centrocampo affollato con Bressan, Sommese, Bellavista Saverino e Carobbio, Doni e Signori di punta, con il primo che parte dalle retrovie. Una formazione squilibrata non solo nei valori, ma questo passano le carte processuali, e una panchina quasi inesistente. Decisamente più agguerrita quella vintage con Stefano Pellegrini, Cacciatori, Petrini, Chiodi, Negrisolo, Montesi, Damiani, Magherini, Massimelli e Merlo.
I vari scandali del calcioscommesse oltre a esplicitare la mancata verginità del football sono un po’ come quando un bambino scopre che Babbo Natale non esiste, il primo trauma che porta verso l’età adulta, la fine delle favole, ma non per questo smetterà di fare e ricevere regali sotto l’albero. Così come i tifosi, dopo la prima reazione giacobina continuano e continueranno a seguire la squadra del cuore sperando che vinca, non importa come (ecco il virus). In nome di quale superiorità morale, quindi, chi veste una maglia dovrebbe essere diverso da chi lo esalta, lo fischia, lo insulta? Ma, soprattutto, come finirebbe questa ipotetica partita tra “giovani rampanti” e “vecchie glorie”? Con una scommessa.
Il Foglio sportivo - in corpore sano