Francia, appello a Draghi: basta con le banche pingui e gli stati miseri

Stefano Cingolani

Due pesi e due misure: alle banche sì e ai governi no. Eppure, non sarà mai possibile sconfiggere quella “spirale di morte” che secondo Paul Krugman avvinghia l’Unione monetaria, senza alleggerire una volta per tutte il fardello dei debiti sovrani. E il compito spetta alla Banca centrale europea. Michel Rocard, esponente del socialismo riformista francese ed ex primo ministro, ha lanciato attraverso il Monde un appello a Mario Draghi, presidente della Bce.

    Due pesi e due misure: alle banche sì e ai governi no. Eppure, non sarà mai possibile sconfiggere quella “spirale di morte” che secondo Paul Krugman avvinghia l’Unione monetaria, senza alleggerire una volta per tutte il fardello dei debiti sovrani. E il compito spetta alla Banca centrale europea.
    Michel Rocard, esponente del socialismo riformista francese ed ex primo ministro, ha lanciato attraverso il Monde un appello a Mario Draghi, presidente della Bce. Insieme con l’economista Pierre Larrouturou, ha elaborato anche un suggerimento tecnico per aggirare i veti imposti dal trattato. Il fine è da condividere, il mezzo da prendere seriamente in considerazione (e all’Eurotower di Francoforte l’articolo non è affatto sfuggito).


    Gli autori partono dai salvataggi americani (il Tarp dotato di 700 miliardi di dollari) e ricordano che la Federal Reserve ha prestato alle banche 1.200 miliardi di dollari allo 0,01 per cento, dunque con un bello sconto rispetto all’un per cento normalmente pagato allo sportello della Banca centrale. Invece, oggi in Europa alcuni stati in difficoltà (come l’Italia o la Spagna) sono costretti a offrire tassi da 600 a 800 volte più alti (l’Irlanda supera quota mille, per la Grecia non c’è più mercato).
    Tutto questo non fa senso, perché alla fine nessuno scappa dal circolo vizioso e l’intero meccanismo s’arresta. Come avvenne nel settembre 2008: dopo il crac di Lehman Brothers, per alcuni giorni è venuto a mancare denaro liquido persino nel più remoto interstizio del sistema mondiale.


    Una via d’uscita ci sarebbe, sostengono Rocard e Larrouturou, senza violare nessuna regola: “La Bce non è autorizzata a prestare agli stati membri, ma può dare denaro senza limiti agli organismi creditizi pubblici (art. 21.3 dello statuto) e alle organizzazioni internazionali (art. 23). Dunque, può prestare alla Bei (Banca europea per gli investimenti) allo 0,01 per cento o alla Cassa depositi e prestiti ed esse possono prestare allo 0,02 per cento agli stati che si indebitano per rimborsare vecchi debiti. Niente impedisce di mettere in opera questo meccanismo già in gennaio”. L’articolo ricorda che il bilancio pubblico italiano presenta un avanzo primario, quindi sarebbe in equilibrio se non dovesse pagare degli oneri finanziari sempre più elevati.

    Il tempo stringe. La Fed manterrà i tassi a 0,25, la Banca d’Inghilterra a 0,50. La Bce ha fornito alle banche un credito triennale illimitato all’un per cento e finora sono stati richiesti 489 miliardi. Ma questo sarà un anno davvero cruciale perché sul mercato del debito pubblico s’è creato un vero e proprio ingorgo.
    Secondo i calcoli di Bloomberg, verranno chiesti 7.600 miliardi di dollari: tremila dal Giappone e 2.800 dagli Stati Uniti (paesi che per diversi motivi non hanno problemi a trovare investitori). Poi viene l’Italia con 428 miliardi tra vecchie scadenze e nuovi debiti (più 72 miliardi per pagare le cedole), seguita dalla Francia (367 più 54), la Germania (285 più 45), il Canada, il Brasile e via via gli altri. Chi ha la tripla A o comunque un rating elevato, troverà acquirenti con prezzi accettabili. La Germania sta addirittura ottenendo rendimenti reali negativi. Gli Schatz a due anni sono stati collocati allo 0,28 per cento, a fronte di un’inflazione che s’avvicina ai tre punti. Dunque, il peso del debito si riduce automaticamente.Al contrario, in Italia un rendimento medio di sei punti è il doppio dell’inflazione, il costo per interessi sale (si stima attorno a 30 miliardi quest’anno) e il debito si gonfia. A crescita zero o negativa, il rapporto con il pil peggiora.


    Rocard e Larrouturou invitano a separare vecchio e nuovo debito, cioè quello contratto prima del 2008 e quello acceso per contrastare la crisi. Così facendo, si scopre che non esiste nell’area euro una crisi strutturale se non limitata ad alcuni paesi e comunque chiaramente controllabile. Se il Patto di stabilità fosse stato riformato per tempo distinguendo tra la natura e lo scopo della spesa pubblica (come proponeva otto anni fa Mario Monti), oggi sarebbe possibile agire sugli investimenti e rilanciare l’economia, anche contraendo le uscite correnti. Non solo rigore dei conti, dunque, ma riconversione dell’economia.
    La proposta Rocard è una scorciatoia furbesca? Probabilmente i tedeschi la pensano così, in particolare il presidente della Bundesbank: Jens Weidmann poco prima di Natale ha di nuovo avvertito che non accetterà mai sostegni ai governi in qualunque modo vengano erogati.

    La prossima settimana Angela Merkel e Nicolas Sarkozy tornano a incontrarsi e il Wall Street Journal ricorda che dopo un anno di tête-à-tête, la crisi greca, di per sé limitata e controllabile, s’è propagata all’intera Eurozona. Italia e Spagna, nonostante piani di austerità sempre più pesanti, non hanno fatto grandi progressi: il costo del debito italiano è di poco inferiore a prima dell’arrivo di Monti. Il neo premier belga Elio Di Rupo lamenta che “sono stati distrutti interi settori dell’economia reale”. Davvero l’ircocervo Merkozy può pensare di andare avanti per la stessa strada?