Le scadenze elettorali ravvicinate di una politica sotto botta (e sotto vuoto)

Salvatore Merlo

Finora la paura di non sopravvivere all’èra di Mario Monti non è stata sufficiente. Allarmati, ma ancora sospesi tra rantoli d’angoscia e sospiri di speranza, Angelino Alfano (a), Pier Luigi Bersani (b) e Pier Ferdinando Casini (c) stentano a trasformarsi sul serio nell’Abc della politica. Il tempo scorre e i partiti inabissati non sanno come affrontare le scadenze che si avvicinano. Su tutto, prima di tutto, le elezioni amministrative forse in primavera, preludio di quelle politiche cui nessuno vuole pensare ma che sono tutt’altro che lontane.

    Finora la paura di non sopravvivere all’èra di Mario Monti non è stata sufficiente. Allarmati, ma ancora sospesi tra rantoli d’angoscia e sospiri di speranza, Angelino Alfano (a), Pier Luigi Bersani (b) e Pier Ferdinando Casini (c) stentano a trasformarsi sul serio nell’Abc della politica. Il tempo scorre e i partiti inabissati non sanno come affrontare le scadenze che si avvicinano. Su tutto, prima di tutto, le elezioni amministrative forse in primavera, preludio di quelle politiche cui nessuno vuole pensare ma che sono tutt’altro che lontane: undici milioni di italiani chiamati a votare dopo l’inverno e una tentazione, quella di non fare troppa campagna elettorale, di nascondersi addirittura. “I leader nazionali farebbero meglio a non mostrarsi. Uscire allo scoperto, per loro, sarebbe politicamente rischioso”, è il consiglio di Nando Pagnoncelli e di tutti i sondaggisti consultati dalle segreterie di partito. Il capo della Ipsos fotografa, e condivide, così, lo stato d’animo altalenante di Bersani e di Alfano (nel Pdl già si chiedono: “Dov’è Alfano?”, perché il segretario latita e riflette sul nuovo organigramma del partito e su un’uscita pubblica dopo l’Epifania). E il dubbio scalfisce persino le molte sicurezze di Casini, il leader dell’Udc che sulla politica dei sacrifici di Monti ha impresso il proprio volto più di quanto non abbiano fatto i colleghi del Pdl e del Pd.

    Le elezioni, la decisione con la quale la Consulta potrebbe cancellare la legge elettorale forse già l’11 di questo mese, e poi gli interventi sul mercato del lavoro che dovranno prendere forma prima dell’eurovertice del 20 gennaio. Nella palude i movimenti sono impercettibili. Il Pdl riunirà una commissione di partito, il 10, per decidere quale modello di riforma elettorale proporre; ci si orienta per un sistema “misto spagnolo” che piacicchia a Walter Veltroni (e forse meno a Massimo D’Alema), ma senza progressi (né troppi sforzi) diplomatici per coinvolgere il partito di Bersani, mentre nel frattempo tutte le scadenze si avvicinano, tutte assieme, intorcinate l’una sull’altra e sul corpo inerte dei partiti.

    Eppure nel Pd e nel Pdl non si fa che parlare di riforme, di costituente. “Nascondersi equivale a perire”, dice Gaetano Quagliariello, preoccupato dalla campagna “antiparlamentarista sui presunti privilegi” che al vicecapogruppo del Pdl ricorda il maremoto che sconvolse la Prima Repubblica. Ed Enrico Letta, dal fronte opposto, nel Pd, da settimane non fa che telefonare e tessere, perorando, senza troppo successo, la causa di un’intesa istituzionale, cristallina, alla luce del sole, tra le forze che sostengono il governo tecnico. “In una situazione di guerra, serve un gabinetto di guerra”, pensa Letta e lo fa con la stessa apparente determinazione con la quale Quagliariello dice che “i partiti devono recuperare il loro spazio” e che “noi Monti lo dobbiamo condizionare” e che “dobbiamo prendere l’iniziativa”. Parole così condivise che Benedetto Della Vedova, nel Terzo polo, si abbandona a un paradosso: “O loro prendono l’iniziativa, o sarà l’iniziativa a prenderli”.

    Un misto impressionante di consapevolezza e di inerzia, mentre l’orologio biologico della Seconda Repubblica ha iniziato il conto alla rovescia per il grande botto: tic tac, tic tac. In Parlamento, i deputati che hanno visto crollare la Prima Repubblica rivivono lo stesso agro fotoromanzo: “L’aggressione antipolitica, il blocco psicologico dei leader, le piccole miserie che si consumano”, dice Sergio Pizzolante, socialista del Pdl. Bersani tentenna, un passo avanti e due indietro. La sua lettera di ieri a Repubblica – “E’ il momento del dialogo sociale” – contiene il pensiero di Letta, ma poi si avviticchia sul rapporto irrisolto con la Cgil, sulle istanze sociali della vecchia sinistra, e in definitiva non trova interlocutori reattivi: non nel Pdl consumato dalle lotte intestine per i congressi e dove Alfano (e Berlusconi) osservano con fare incerto spostamenti di truppe verso il campo dell’Udc. Da un giovane e influente ex ministro berlusconiano è stata pronunciata questa frase: “Il Pdl corre verso la propria fine”. Mentre Casini organizza un congresso, a maggio, per raccoglierne i cocci.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.