La storia del laboratorio siculo, il rischio default del centrosinistra, le ambizioni del Pdl e il romanzo delle elezioni palermitane

La metafora siciliana

Claudio Cerasa

Dal Pci al Terzo polo. Da Mattarella al governo tecnico. Dal Mattarellum a Lombardo. Dalla Dc fino alla fine del berlusconismo. Gli osservatori di cose politiche studiano da sempre la Sicilia con lo stesso spirito con cui un tempo i sacerdoti romani scrutavano nell’aria il volo degli uccelli. Nell’antica Roma, gli indovini provavano a capire qualcosa di più sul futuro del loro paese osservando con attenzione ogni piccolo movimento e ogni piccola evoluzione di alcuni specifici pennuti, e attraverso l’analisi delle loro traiettorie spesso presagivano gli avvenimenti futuri e spesso decidevano persino quale orientamento dare alle mura delle nuove città. Allo stesso modo si può dire che gli appassionati di politica provano da sempre a capire qualcosa di più sul futuro del paese osservando con attenzione ogni piccolo movimento e ogni piccola evoluzione della regione politicamente più profetica del paese, e spesso, attraverso l’analisi delle traiettorie imboccate dai protagonisti della politica siciliana, è possibile capire qualcosa di più sugli orientamenti generali della politica nazionale. 

    Dal Pci al Terzo polo. Da Mattarella al governo tecnico. Dal Mattarellum a Lombardo. Dalla Dc fino alla fine del berlusconismo. Gli osservatori di cose politiche studiano da sempre la Sicilia con lo stesso spirito con cui un tempo i sacerdoti romani scrutavano nell’aria il volo degli uccelli. Nell’antica Roma, gli indovini provavano a capire qualcosa di più sul futuro del loro paese osservando con attenzione ogni piccolo movimento e ogni piccola evoluzione di alcuni specifici pennuti, e attraverso l’analisi delle loro traiettorie spesso presagivano gli avvenimenti futuri e spesso decidevano persino quale orientamento dare alle mura delle nuove città. Allo stesso modo si può dire che gli appassionati di politica provano da sempre a capire qualcosa di più sul futuro del paese osservando con attenzione ogni piccolo movimento e ogni piccola evoluzione della regione politicamente più profetica del paese, e spesso, attraverso l’analisi delle traiettorie imboccate dai protagonisti della politica siciliana, è possibile capire qualcosa di più sugli orientamenti generali della politica nazionale. E’ andata così nel 1919, quando Luigi Sturzo e Salvatore Aldisio misero in piedi il Partito popolare partendo proprio dalla Sicilia (da Caltanissetta) e arrivando poi a poco a poco in tutto il resto del paese. E’ andata così nel 1961, quando l’allora segretario regionale della Dc Giuseppe D’Angelo – detto il “gibboso” – diede vita insieme con il Psi al primo governo italiano composto da una coalizione di centrosinistra. E’ andata così nel 1975, quando tre anni prima che a Roma sorgesse il governo di unità nazionale in Sicilia venne sperimentata la così detta “solidarietà autonomistica”, con il Pci e la Dc che si accordarono per portare al governo Piersanti Mattarella ben prima che un’operazione analoga fosse realizzata, al governo, da Aldo Moro ed Enrico Berlinguer. E’ andata così, poi, nel 1991, quando l’Assemblea regionale siciliana elaborò una formula elettorale che prevedeva l’elezione diretta dei sindaci ben due anni prima che tutto il resto del paese scegliesse di utilizzare la medesima formula per eleggere i primi cittadini italiani. E per arrivare ai nostri giorni, è andata così anche nell’autunno del 2009, quando il governatore Raffaele Lombardo decise di portare a termine un robusto rimpasto di governo (fu il terzo, oggi siamo arrivati al quarto, presto si prevede che ci sarà anche il quinto) imbarcando nella sua maggioranza il partito uscito sconfitto dalle precedenti elezioni (il Pd), mettendo clamorosamente fuori dalla giunta il partito che lo aveva sostenuto alle ultime elezioni (il Pdl, o almeno un pezzo di questo) e contribuendo a far rimbombare in tutta Italia le prime avvisaglie della crisi del berlusconismo.

    E due anni e mezzo dopo quel simbolico ribaltone di governo, oggi succede che la Sicilia, ancora una volta, sembra essere davvero la perfetta “metafora d’Italia” (come da antica definizione di Leonardo Sciascia) e sembra essere davvero uno degli scenari più interessanti da studiare sia per provare a capire quello che potrebbe succedere nei prossimi mesi nel panorama politico nazionale sia per provare a comprendere anche quali potrebbero essere le possibili conseguenze del governo Monti sulla vita dei partiti. E su uno in particolare: quello che fino a pochi mesi fa era all’opposizione e che ora, tanto in Sicilia quanto a Roma, si ritrova invece improvvisamente al governo: il Pd.
    I protagonisti della storia che andiamo a raccontarvi sono i politici che nelle prossime settimane animeranno la prima vera campagna elettorale dell’èra Monti: sono Giuseppe Lupo, Antonello Cracolici, Giuseppe Lumia, Davide Faraone, Rita Borsellino, Leoluca Orlando, Raffaele Lombardo e di riflesso anche Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola, Antonio Di Pietro, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini. La campagna elettorale in questione è quella che porterà all’elezione del sindaco di Palermo nella prossima primavera (29 maggio) ed è una campagna che, come vedremo, presenta molti spunti di riflessione interessanti. E se da un lato il centrodestra siciliano proverà a presentare un candidato che possa essere utile a far riavvicinare una volta per tutte il mondo dell’Udc (che intanto, anche per riacquistare margini di manovra, è uscita dalla giunta Lombardo) a quello del Pdl (e il nome giusto, in questo senso, potrebbe essere quello del rettore Roberto Lagalla); dall’altro lato il centrosinistra dovrà rispondere alla stessa domanda a cui tra un anno dovranno rispondere i vertici del Pd nazionale: e allora ragazzi che si fa? Sfruttiamo l’esperienza della partecipazione a questo governo centrista per costruire alle prossime elezioni un’alleanza con il centro oppure diciamo no grazie, scusate, è stata solo un’esperienza, è stata solo una parentesi, e ci ributtiamo subito con tutte le nostre forze nel vecchio schema delle alleanze sul modello del “nessun nemico a sinistra”?

    La questione, come si potrà ben immaginare, non è di facile soluzione: una parte del Pd siciliano – guidato da Giuseppe Lumia (ex principe dell’Antimafia, un tempo convinto sostenitore della necessaria scomunica per tutti i politici indagati dalla magistratura e oggi invece diventato principe dei garantisti e grande scomunicatore di tutti coloro che si permettono di mettere in discussione la trasparenza del governatore Lombardo, che tra l’altro nei prossimi mesi dovrà affrontare insieme con il fratello Angelo un processo per voto di scambio), e Antonello Cracolici (capogruppo del Pd all’Ars) – spinge per allearsi con il centro e per trovare un candidato che possa essere appoggiato anche dal Terzo polo e dallo stesso governatore Lombardo. Mentre un’altra parte del Pd siciliano (quello più vicino a Giuseppe Lupo, segretario regionale siciliano, Enzo Bianco, ex sindaco di Catania, e Mirello Crisafulli, ras siciliano del Pd) spinge per non dare un seguito elettorale al “governo tecnico”, come lo chiamano i pasdaran del lombardismo per via dei dodici assessori tecnici presenti all’interno della giunta, e puntare tutto su un candidato come Rita Borsellino gradito anche alla sinistra. Lo scontro tra le due anime del Pd siciliano va ormai avanti da molti mesi e senza dubbio il momento di massima tensione è stato registrato lo scorso sette ottobre, quando alcuni deputati della regione del Pd hanno scritto una lettera a Pier Luigi Bersani sia per contestare la linea del partito sul tema alleanze sia per ricordare al leader del Pd che o il Pd fa come dice il Pd siciliano oppure il Pd siciliano se ne va per la sua strada. “Ci si illude – ha scritto a ottobre Cracolici, in una appassionata lettera all’Unità – che potremo vincere le prossime elezioni con il ‘Nuovo Ulivo’? Forse nel resto del paese, non certo in Sicilia”.

    Vasto o non Vasto, insomma, o Nuovo Ulivo o Vecchio Ulivo, alla fine il problema per il Pd, sia in Sicilia sia fuori dalla Sicilia, sembra essere sempre quello: e dopo che si fa? E dopo il congelamento della politica dove si va? Si va con Vendola e Di Pietro? Oppure alle prossime elezioni si va con Casini e magari con Fini e magari senza Di Pietro? Nell’attesa che i vertici del Partito democratico riescano a offrire (non solo qui nell’isola) una risposta convincente al problema, in Sicilia la situazione sta sfuggendo letteralmente di mano. E in vista delle elezioni palermitane della prossima primavera si può dire che il quadro clinico del Pd non sembra essere affatto incoraggiante: di fatto oggi in nessun’altra parte d’Italia il rischio del default del partito è così evidente come lo è quaggiù in Sicilia. Andiamo con ordine però. Tutto comincia alcune settimane fa, quando il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, propone come candidato sindaco l’onorevole Rita Borsellino. Borsellino, sorella del giudice ammazzato vent’anni fa dalla mafia, dice di essere disponibile a partecipare alle prossime primarie a condizione che l’alleanza venga costruita dal partito non con le forze di centro (né tantomeno con Lombardo) ma con tutte le forze della sinistra siciliana. Il Pd siciliano però (sponda Cracolici-Lumia) è contrario a rispolverare il patto di Vasto e minaccia di creare gruppi autonomi in regione se il Pd dovesse decidere di non dare continuità all’esperienza del governo Lombardo, e se dovesse per di più scegliere di allontanarsi dal mondo del Terzo polo (il cui peso elettorale nell’isola è stimato intorno al 20 per cento). Come se non bastasse, però, a inizio dicembre, giusto per semplificare le cose, la candidatura della Borsellino viene bocciata dall’Italia dei valori che proprio all’inizio del mese presenta alla stampa il nome del proprio candidato ufficiale per la poltrona di sindaco di Palermo: ancora lui, sì, ancora Leoluca Orlando (già sindaco del capoluogo siciliano dal 1985 al 1990, e dal 1993 al 2000).
    “Noi – ha detto a metà dicembre Antonio Di Piero, che intanto in Sicilia ha dovuto registrare l’addio di un consigliere comunale di peso del suo partito, Fabrizio Ferrandelli, che si candiderà autonomamente alle primarie palermitane – non possiamo accettare di andare in coalizione con Cuffaro o Lombardo, che è il Cuffaro senza cannoli. E se il Pd ritiene di fare una alleanza con il Terzo polo sappia che dovrà fare una scelta perché l’Idv non li seguirà”.

    Orlando, evidentemente, sogna di poter sfruttare le divisioni del centrosinistra per riconquistare la poltrona di sindaco di Palermo e giocare a Rita Borsellino lo stesso scherzetto giocato pochi mesi fa a Napoli al Pd da Luigi De Magistris. E uno scherzetto al centrosinistra, in cuor suo, vorrebbe giocarlo anche un altro politico siciliano che negli ultimi mesi non ha perso occasione per far parlare di sé: Davide Faraone. Faraone è l’ex capogruppo del Pd al comune di Palermo e oggi è deputato alla regione Sicilia e da qualche tempo a questa parte è diventato uno dei cocchi del sindaco di Firenze Matteo Renzi. Negli ultimi mesi, infatti, Renzi ha voluto accanto a sé Faraone sul palco della Leopolda (sua fu l’idea di chiamare “Big Bang” la tre giorni renziana) e dopo averlo inserito all’interno del board del think tank guidato da Giuliano Da Empoli messo in piedi dal sindaco per organizzare la sua scalata alla premiership nel 2013 gli ha promesso che sarà presente a Palermo quando il prossimo 14 gennaio Faraone presenterà il suo personalissimo Big Bang siciliano. Certo: le chance a Palermo di Faraone sembrano essere davvero esigue ma detto questo è comunque significativo che all’ex capogruppo del Pd al comune sia stata data la possibilità di candidarsi nonostante i vertici abbiano chiesto più volte al Pd siciliano di non far partecipare più di un democratico alle primarie del centrosinistra – e chissà, allora, che lo stesso strappo alla regola alla fine non venga fatto anche con Renzi in vista delle primarie che il centrosinistra dovrebbe convocare per scegliere il proprio candidato alla premiership nel 2013, dato che secondo lo statuto del Pd l’unico iscritto del partito a cui viene data facoltà di partecipare alle primarie di coalizione è solo e soltanto il segretario del partito.

    Già, le primarie: diciamo che anche su questo punto la storia del centrosinistra siciliano presenta alcuni punti di lieve criticità. Se tutto andrà bene, infatti, le primarie del centrosinistra dovrebbero essere convocate il 19 o il 26 febbraio (la data ufficiale verrà resa nota il 29 gennaio). Ma dato che, come abbiamo visto, nel Partito democratico vi sono due fronti contrapposti che ormai da tempo lottano in modo feroce per determinare la giusta traiettoria da far imboccare al partito nel futuro prossimo venturo (con Lombardo o contro Lombardo? Con la sinistra o con il centro? Con il Terzo polo o con i ragazzi di Vasto?) il Partito democratico, per non sapere né leggere né scrivere, come si dice sempre in questi casi, ha chiesto ai suoi elettori di esprimere la propria posizione in merito all’appoggio al governo Lombardo. E così, il prossimo febbraio (la data del referendum non è ancora stata stabilita e non è escluso che possa essere fissata anche dopo le primarie) gli elettori del Pd saranno invitati a rispondere alle seguenti domande. Prima domanda: “Sei d’accordo sull’impegno del Pd a costruire in vista delle elezioni un’alleanza tra forze progressiste, moderate e autonomiste?”. Seconda domanda: “Alla luce della disponibilità data dal Terzo polo, sei d’accordo a consolidare l’alleanza a sostegno del governo della regione fermo restando che la partecipazione diretta di rappresentanti in giunta intervenga dopo le elezioni?”. Il referendum – il cui risultato evidentemente avrà un certo riflesso non soltanto sulla politica siciliana – in realtà ha un precedente molto fresco che fa tremare le gambe al gruppo dirigente del Pd. Appena qualche mese fa, infatti, in un piccolo comune in provincia di Catania (Caltagirone) il circolo cittadino organizzò una consultazione popolare proprio per interrogare gli elettori del Pd sulla questione dell’ingresso del partito nel governo guidato dal governatore Lombardo. “Voi condividete l’ingresso del Pd nella maggioranza che sostiene il presidente Lombardo?”. Era il 9 gennaio del 2011 e il 97,4 per cento dei votanti scrisse con la matita la parola “no”, scatenando la durissima reazione della segreteria regionale del partito, che a sorpresa decise di commissariare il circolo Pd di Caltagirone. Ecco: inutile dire che se anche a febbraio la base del Pd dovesse bocciare la permanenza del Partito democratico all’interno della giunta Lombardo le conseguenze potrebbero essere disastrose. E di fatto – anche a dimostrazione che uno dei maggiori successi della giunta “tecnica” guidata da Lombardo è stato quello di aver diviso in modo chirurgico tutti i partiti presenti all’interno del panorama politico siciliano – per la prima volta dalla sua creazione un pezzo intero di Pd potrebbe davvero staccarsi dal corpaccione del partito guidato da Pier Luigi Bersani. “Credo – dice un dirigente del Pd vicino al segretario – che il Partito democratico stia sottovalutando quanto sta succedendo nel contesto siciliano. Qui, come in pochi altri posti in giro per l’Italia, risulta evidente che esistono due anime nel nostro partito che sempre meno riescono a trovare un punto di incontro. C’è chi crede che il Pd debba ricalibrare la propria rotta spostando il proprio baricentro lontano dalla sinistra e chi invece crede che il futuro del partito sia quello di impegnarsi a rimettere insieme i cocci della famosa foto di Vasto. Nessuno oggi può dire quale sia la soluzione migliore per il Pd. Di sicuro però in Sicilia si sta discutendo proprio di questo. E se il Pd siciliano dovesse uscire spezzato in due da questa discussione, diviso persino in due partiti diversi come già successo per esempio anche al Pdl, mi sentirei di dire che la Sicilia per il nostro partito può essere quello che è stata la Grecia per l’Europa. Per dirlo in altre parole: semplicemente un sintomo del nostro rischio di default”.
        www.ilfoglio.it/cerazade
        twitter@ClaudioCerasa

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.