I destini paralleli di Capitan futuro e Capitan passato

Sandro Bocchio

Tra Capitan futuro e Capitan passato la differenza non risiede unicamente nel tempo. E' anche questione di modi. E di maniere. Il modo in cui si sta lavorando al rinnovo del contratto di Daniele De Rossi e le maniere in cui viene gestita la situazione di Riccardo Montolivo. Il primo è (dovrebbe) essere il Capitan futuro della Roma, l'uomo destinato a gestire il pesante dopo-Totti. Il secondo è ormai capitan passato, con l'aggravante di vivere in una piazza che non l'ha mai amato fino in fondo.

    Tutti i lunedì il Foglio.it propone brevi ritratti in parallelo di due protagonisti del calcio italiano. Oggi tocca a Daniele De Rossi e Riccardo Montolivo.

    Tra Capitan futuro e Capitan passato la differenza non risiede unicamente nel tempo. E' anche questione di modi. E di maniere. Il modo in cui si sta lavorando al rinnovo del contratto di Daniele De Rossi e le maniere in cui viene gestita la situazione di Riccardo Montolivo. Il primo è (dovrebbe) essere il Capitan futuro della Roma, l'uomo destinato a gestire il pesante dopo-Totti. Romano e romanista, con papà Alberto allenatore della Primavera giallorossa, nasce per essere leader: parole poche ma pesanti, sostanza tanta e sempre di qualità. Prestazioni che mettono in secondo piano anche gli occasionali colpi di testa, verbali e fisici, come la gomitata allo statunitense McBride che gli fa saltare quattro gare al Mondiale vinto nel 2006 in Germania. Per questo il popolo romanista lo adora e ne interpreta con ansia ogni espressione nelle more di una vicenda che si trascina da troppo tempo. La Roma propone un ricco quinquennale parificabile a un baby pensionamento, visto che De Rossi compirà a luglio 29 anni. Lui dice poco ma quel poco mette paura ("Ho le idee sempre più chiare") poiché lo aspettano Real Madrid e Manchester City, attenti a ogni minimo segnale come ha confessato Roberto Mancini, che vede nel centrocampista giallorosso "l'uomo perfetto per migliorarci". E De Rossi tratta, senza cedere di un millimetro dal punto di vista professionale. In qualsiasi zona lo si schieri, anche difensore centrale come ha fatto Luis Enrique in questa stagione. Uno schiaffo a chi accusa i calciatori italiani di tirare indietro la gamba o di mettere a nanna l'impegno quando i soldi non arrivano.

    Uno schiaffo che lo accomuna a Montolivo, bergamasco di Caravaggio ancor più parco di parole, compagno di reparto del romanista nell'Italia. La Fiorentina l'aveva preso ventenne dall'Atalanta nel 2005 (insieme con Giampaolo Pazzini) per farne il centro del progetto di Cesare Prandelli. Con successo: viola a traino delle primissime in campionato e protagonisti in Champions League. Fino a quando il tecnico divorzia in maniera traumatica, fino a quando i Della Valle non serrano i cordoni della borsa e varano un ridimensionamento della squadra. Uno dietro l'altro salutano tutti i protagonisti di quella breve primavera viola, Montolivo finisce per sentirsi un sopravvissuto. A 26 anni giunge il momento delle scelte importanti e la sua è dirompente: decide in estate di non rinnovare il contratto in scadenza 2012, per essere libero di programmare il proprio destino. Un danno per il club, che non può monetizzare e che degrada il centrocampista sul campo, togliendogli la fascia. Capitan passato. Con l'aggravante, per Montolivo, di vivere in una piazza che non l'ha mai amato fino in fondo. Quelli che sono applaudi d'amore per De Rossi, per lui si trasformano in fischi e insulti, anche nelle partitelle di metà settimana: Firenze non ha mai perdonato chi tradisce. Gli resta una sola carta da giocare da qui a maggio: la professionalità. Non più capitano, ma ancora leader. E il pallonetto da fuoriclasse offerto domenica a Novara sottolinea la differenza tra il possibile rimpianto dei tifosi della Fiorentina e le eccellenti aspettative di quelli del Milan, più che probabile prossima casa di Montolivo.

    Leggi Marchisio-Nocerino, la dura lotta per guidare il centrosinistra

    Leggi Denis-Di Natale, province da non abolire