Crisi economica? Guardate che il Giappone ha fatto meglio dell'America

Giulia Pompili

“Hito no furi mite waga furi naose”, ovvero guarda agli errori degli altri e correggi i tuoi. E’ un consiglio soprattutto, quello che Eamonn Fingleton, editorialista economico di base a Tokyo, dà all’America nel demolire tutti i pregiudizi sulla crisi economica giapponese. In un lungo articolo apparso sul domenicale del New York Times, Fingleton spiega punto per punto perché il Giappone ha fatto meglio degli Stati Uniti nel contrastare il crollo dell’economia, e perché la catastrofe dipinta dai media occidentali in realtà non corrisponde a quello che succede a Tokyo.

    “Hito no furi mite waga furi naose”, ovvero guarda agli errori degli altri e correggi i tuoi. E’ un consiglio soprattutto, quello che Eamonn Fingleton, editorialista economico di base a Tokyo, dà all’America nel demolire tutti i pregiudizi sulla crisi economica giapponese. In un lungo articolo apparso sul domenicale del New York Times, Fingleton spiega punto per punto perché il Giappone ha fatto meglio degli Stati Uniti nel contrastare il crollo dell’economia, e perché la catastrofe dipinta dai media occidentali in realtà non corrisponde a quello che succede a Tokyo.

    Battibecchi politici e pregiudizi che hanno creato uno iato tra la realtà dei fatti in Giappone e la sua percezione in occidente.
    “Secondo alcuni dati – scrive Fingleton, autore del blog “L’impero dei castelli di sabbia” sul declino americano – il governo giapponese si è mosso bene durante quello che viene chiamato il ‘decennio perduto’”, il periodo di crisi iniziato con il crollo del mercato azionario nel gennaio del 1990. Per l’economista Tokyo è riuscita a lasciare invariato lo stile di vita dei cittadini nonostante il crollo finanziario: “Col tempo è probabile che questo periodo sarà visto come un successo storico”. Se il pil giapponese è in crescita (+2,3 per cento previsto per il 2012), la sua forza economica per Fingleton è evidente da sei aspetti.

    Anzitutto l’aspettativa di vita dei giapponesi, che è cresciuta di 4,2 anni – dai 78,8 agli ottantatré anni – tra il 1989 e il 2009. I giapponesi vivono più degli americani, per via di una politica sanitaria più efficace. La rete internet giapponese, che all’inizio degli anni Novanta era tra le più arretrate, oggi supera di gran lunga quella statunitense in quanto a diffusione e qualità (fu l’unico mezzo di comunicazione a non subire blackout l’11 marzo scorso). Dalla fine del 1989 lo yen è cresciuto dell’87 per cento sul dollaro americano e del 94 per cento sulla sterlina inglese. Il tasso di disoccupazione in Giappone è del 4,2 per cento, praticamente la metà di quello americano. Le metropoli non hanno mai smesso di crescere durante il “decennio perduto” giapponese, e anche il sorpasso economico di Pechino su Tokyo, avvenuto ufficialmente nel febbraio del 2011, non è mai stato interpretato come un’implicita vittoria dell’America, anzi. Dal 1989 l’export giapponese verso la Cina è aumentato di quattordici volte, le relazioni tra i due paesi sono sempre più fitte ed è di qualche settimana fa l’accordo per lo scambio diretto di merci, servizi e finanza senza passare per la mediazione della valuta americana.

    C’è un problema culturale di fondo, secondo Fingleton: sminuire il progresso giapponese da parte degli occidentali azzerando l’economia reale sul dato del pil è un modo per coprire le magagne delle economie occidentali. Per il premio Nobel Paul Krugman il punto di vista di Fingleton è giusto, pur se esagerato nelle conclusioni. Anche per Krugman la crisi giapponese è stata evidentemente sopravvalutata. Il problema della crescita giapponese particolarmente lenta è legato al calo demografico. Krugman confronta i dati demografici Ocse: “Nel 1990 c’erano 86 milioni di giapponesi tra i 15 e i 64 anni che nel 2007 sono scesi a 83 milioni. Nello stesso periodo, in America, la popolazione in età lavorativa è salita da 164 a 202 milioni”. Con le dovute cautele, Krugman concorda con Fingleton nel constatare come i dati economici non corrispondano al quadro di declino inarrestabile che si legge sui giornali occidentali: “Quando qualcuno mi chiede se avremmo potuto rispondere alla crisi male quanto il Giappone, gli dico che siamo andati oltre. Abbiamo fatto molto peggio”.

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.