Tutti i report

Perché Passera sostiene una Bce interventista

Michele Arnese

Che cosa aspetta il governo a chiedere che la Bce sia garante dell’euro e degli stati, e non solo delle banche? L’interrogativo che da tempo economisti di opposti orientamenti ponevano al tecnogoverno ha avuto una prima risposta. Non dal premier Mario Monti, bensì dal ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera.

    Che cosa aspetta il governo a chiedere che la Bce sia garante dell’euro e degli stati, e non solo delle banche? L’interrogativo che da tempo economisti di opposti orientamenti ponevano al tecnogoverno ha avuto una prima risposta. Non dal premier Mario Monti, bensì dal ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera. Prima venerdì a Parigi, e poi domenica in un’intervista al Corriere della Sera, l’ex consigliere delegato di Intesa Sanpaolo ha detto chiaramente: “O l’Europa decide di darsi gli strumenti che qualsiasi moneta ha, vale a dire una Banca centrale in grado di garantire la liquidità e la stabilità, oppure non ci sarà crescita, e non ci sarà occupazione”. Non bastano quindi le riduzioni del tasso, ora all’1 per cento, né le iniezioni di liquidità alle banche.
    Nel gruppo creditizio ora capitanato da Enrico Cucchiani, molti economisti dell’ufficio studi concordano con la posizione dell’ex capo azienda Passera. Anna Maria Grimaldi, nel recente rapporto “Scenario 2012” di Intesa, commentando il vertice europeo del 9 dicembre, ha scritto: “Mario Draghi si è detto molto soddisfatto dell’accordo, ma ciò non significa che la Bce cambierà le modalità con cui interviene sui titoli pubblici né la strategia di comunicazione”.

    Le motivazioni, per la macroeconomista di Intesa, “rimangono sostanzialmente ideologiche: lo spettro dell’iperinflazione legato alla monetizzazione del debito”. Draghi, durante la conferenza stampa dell’8 dicembre, ha riaffermato in modo categorico la determinazione della Bce ad agire rispettando i limiti legali imposti dall’art. 123 del trattato di Maastricht. Draghi, aggiunge Grimaldi, “si è spinto nel dire che lo spirito del trattato va rispettato a pieno e dunque artifizi che cerchino di aggirarlo non incontrano il consenso della Bce”.

    Da agosto a oggi, ricorda il ponderoso rapporto di Intesa, l’Istituto di Francoforte ha acquistato titoli per circa 135 miliardi di euro, portando i titoli detenuti in portafoglio a 207 miliardi di euro a metà dello scorso dicembre. “Se la Bce continuasse ad acquistare titoli per 30-35 miliardi di euro al mese di qui a giugno, aumenterebbe il proprio bilancio di altri 210 miliardi di euro. Tale somma coprirebbe la necessità di rifinanziamento di carta a breve e titoli a medio-lungo termine di Italia e Spagna nella prima metà del prossimo anno (150 miliardi in Italia e 63 miliardi in Spagna), anche se trattandosi di acquisti sul mercato secondario non esiste alcun legame diretto con le aste”. Ma l’Istituto presieduto da Draghi potrebbe essere ancor più incisivo. Gli economisti di Intesa non invocano il ruolo di prestatore di ultima istanza per i debiti pubblici, come hanno fatto nelle scorse settimane i loro colleghi del servizio studi di Mps, ma ci vanno vicino: “Se la Bce annunciasse esplicitamente un programma di acquisti strutturato per 210 miliardi di euro, l’effetto sul bilancio sarebbe lo stesso, ma l’impatto sul mercato e sulla fiducia molto più efficace dal momento che con una comunicazione esplicita la Bce dissiperebbe i dubbi sulla capacità di finanziamento di Italia e Spagna”. Beninteso, aggiungono gli economisti di Intesa presieduta da Giovanni Bazoli, la Bce ha comunque adottato misure non ortodosse, come ad esempio i prestiti illimitati a tre anni per le banche a un tasso dell’1 per cento: “Riteniamo che le misure siano di ampio supporto e riducano il rischio di contrazione degli impieghi, posto che gli istituti di credito non utilizzino i fondi presi a prestito in Bce solo per aumentare l’esposizione ai titoli governativi”. Gli effetti positivi dei prestiti alle banche sull’economia reale finora non ci sono stati: i dati di ieri mostrano l’ennesimo record per i depositi a un giorno delle banche dell’Eurozona presso la Bce. Gli istituti il 6 gennaio hanno parcheggiato all’Eurotower 463,6 miliardi, il livello più alto dalla nascita dell’euro.

    A essere ancor più netto ed esplicito è Luca Mezzomo, l’economista che ha curato lo “Scenario 2012” di Intesa: “Come la vespa dietro il vetro, da mesi Consiglio europeo e Bce continuano a riproporre la stessa ricetta contro la crisi del debito, basata sull’aumento della disciplina fiscale e sulla realizzazione di programmi accelerati di austerità nei paesi sotto pressione. Poiché ogni volta tornano a sbattere contro il vetro – cioè scoprono che le loro mosse non hanno per nulla migliorato il clima di fiducia e, anzi, lo deteriorano sempre più – esplorano con le loro antenne la superficie del vetro – cioè introducono piccole varianti alla strategia senza però mai rimetterla davvero in discussione”. Così, “in assenza di alternative ragionevoli attivabili a brevissimo termine”, la Bce “continuerà a garantire condizioni di liquidità eccezionalmente accomodanti alle banche e a comprare titoli per volumi considerevoli; tuttavia, rinuncerà ai benefici che offrirebbe, in termini di miglioramento del clima di fiducia, l’annuncio formale di un programma di medio termine con obiettivi determinati”.