Così il controspionaggio iraniano lotta con le intelligence straniere

Daniele Raineri

Il controspionaggio iraniano è al lavoro per tappare i buchi e le falle nel sistema e fermare una campagna di attentati contro uomini e installazioni del programma nucleare nazionale. Ieri è morto uno scienziato nell’esplosione della sua macchina, Ahmadi Roshan, giovane vicedirettore di un complesso per l’arricchimento dell’uranio a Natanz, dopo che martedì il capo di stato maggiore di Israele, Benny Gantz, aveva avvertito che l’Iran “deve aspettarsi più ‘eventi innaturali’ nel 2012”.

    Il controspionaggio iraniano è al lavoro per tappare i buchi e le falle nel sistema e fermare una campagna di attentati contro uomini e installazioni del programma nucleare nazionale. Ieri è morto uno scienziato nell’esplosione della sua macchina, Ahmadi Roshan, giovane vicedirettore di un complesso per l’arricchimento dell’uranio a Natanz, dopo che martedì il capo di stato maggiore di Israele, Benny Gantz, aveva avvertito che l’Iran “deve aspettarsi più ‘eventi innaturali’ nel 2012”.

    I successi più grandi per ora sono contro i servizi americani. Quello che si conosce si deve ad alcune spiegazioni date a novembre sulla porta del consiglio dei ministri da Heydar Moslehi, 54 anni, capo del ministero dell’Intelligence iraniano. Moslehi ha ricordato che a maggio 2011 è stato arrestato un gruppo di 30 informatori della Cia – alcuni lavoravano per il governo – e a novembre è stato arrestato un altro gruppo da dodici. In mezzo c’è stato l’arresto di un terzo gruppo di informatori a Beirut, si dice favorito dall’aiuto di Moslehi e dalla sua condivisione di risorse e tecnologia con Hezbollah e con i servizi libanesi. Sono informazioni che non possono essere approfondite, almeno nel caso delle due retate a Teheran, e le condanne per “spionaggio” sono spesso strumentali alla guerra fredda con Washington (un cittadino americano, dopo una quiescenza di quattro mesi, ora attende l’esecuzione della condanna a morte fra 17 giorni). Nel caso di Beirut, funzionari da Washington ammettono a mezza bocca che è stato un disastro.

    Mahan Abedin, analista iraniano che lavora fuori dall’Iran, ha scritto un profilo delle attività della Cia incrociando media in lingua farsi e le sue fonti a Teheran. Ci sono almeno sei campi in cui si tenta l’infiltrazione: il programma nucleare, l’establishment militare, il settore bancario e finanziario, la logistica e i trasporti (in particolare con gli aerei), il settore di gas e petrolio e l’industria del software, in particolare le compagnie private che scrivono programmi su richiesta e lavorano per il governo.

    La Cia avrebbe creato un settore di agenti operativi e analisti di livello selezionato – tutti parlerebbero la lingua farsi e tutti sarebbero veterani dell’area – che lavora soprattutto negli stati che circondano il confine con l’Iran ma anche in altri paesi, più remoti e che però sono un campo d’azione interessante perché ospitano un grande numero di studenti iraniani in trasferta, per esempio la Malesia. I reclutatori si nasconderebbero tra le pieghe di organizzazioni americane ufficiali e non, come ambasciate, uffici di imprese commerciali, servizi per l’immigrazione, istituzioni accademiche e think tank. 

    Secondo Abedin, proprio i tentativi troppo insistenti della squadra dei servizi americani con scienziati e studenti hanno portato alla scoperta del primo gruppo, quello più ampio, di informatori. Un iraniano agganciato in Malesia e blandito con l’offerta di una borsa di studio da parte di un’organizzazione para accademica che faceva da schermo ha tradito il suo contatto, che è stato messo sotto sorveglianza dal ministero iraniano. Da lui sono arrivati agli altri. Abc News così confermò la notizia l’anno scorso: “Funzionari americani hanno ammesso il mese scorso di avere subito un duro colpo quando una rete di spie è stata scoperta in Iran: ‘Raccogliere informazioni segrete da avversari che stanno cercando aggressivamente di scoprire le spie in mezzo a loro è un compito esposto per sua natura a rischi’”.

    Per Abedin, anche l’attacco studentesco all’ambasciata britannica a Teheran che portò alla sua evacuazione il 29 novembre 2011 rientra in questa logica. L’ambasciatore britannico è stato chiaro : “Si è trattato di un assalto di stato”. La sede diplomatica era anche un’importante copertura per le attività di spionaggio, e così lo erano le altre ambasciate europee nella capitale  che per protesta contro la plateale inerzia del governo iraniano furono chiuse poco dopo. Nello spazio di un pomeriggio il via vai diplomatico di mezza Europa nel paese fu eliminato e un’altra falla nella sicurezza fu brutalmente otturata.

    Un’altra operazione contro lo spionaggio americano fu la cattura all’inizio di dicembre di un esemplare in perfette condizioni del RQ-170 Sentinel, un drone sofisticato usato dal Pentagono per sorvegliare le installazioni del programma atomico partendo dalle basi nel vicino Afghanistan. Gli iraniani sostengono di essersi impadroniti dei comandi a distanza e di averlo fatto atterrare su una loro pista ingannando il computer di bordo. Alcuni analisti contestano la versione, ma il Pentagono per ragioni da investigare ha ripreso i voli di droni sull’Iran soltanto quattro giorni fa.

    Fonti del Foglio che preferiscono restare coperte dall’anonimato sostengono che l’uccisione di ieri a Teheran sia un’operazione partita grazie a informazioni passate ai servizi americani dai sauditi (su una nota non collegata, il ministro degli Esteri sadita, Saud al Faisal, ha incontrato a Washington il presidente americano, Barack Obama, martedì, e hanno discusso della situazione a Teheran). Georges Malbrunot, giornalista del quotidiano francese Figaro, cita una sua fonte a Baghdad che sostiene Israele abbia un canale d’accesso privilegiato e libertà di movimento dentro l’Iran grazie alla collaborazione con i curdi che abitano la regione a cavallo tra Turchia, Iraq e Iran. Un legame storico che ora sarebbe stato rafforzato.

    Ieri il vicepresidente iraniano Mohammad Reza Rahimi ha accusato d’omicidio sull’agenzia Fars “i sionisti” e “chi dice di essere contro il terrorismo”. Il portavoce degli Esteri, Ramin Mehmanparast, è sceso più in dettaglio: “Queste azioni sono commesse dal regime sionista e dai suoi agenti grazie all’appoggio di diversi paesi europei e specialmente di funzionari americani”. Il dipartimento di stato americano “condanna con forza quest’atto di violenza e nega categoricamente qualsiasi coinvolgimento”.

    Abedin conclude dicendo che a dispetto dei progressi rapidi, il controspionaggio iraniano è ancora lontano dal riuscire a rendere troppo difficili e costose le operazioni delle intelligence straniere dentro l’Iran. Ieri quando Ahmadi Roshan è stato affiancato vicino allUuniversità Allameh Tatabai da due sicari in motocicletta – hanno applicato alla portiera una bomba grazie a un magnete potente – era in giro con due conoscenti su una normale Peugeot 405, senza alcun tipo di protezione (è il terzo attentato con una bomba magnetica). David Blair, uno dei corrispondenti del Telegraph dal medio oriente, elenca le morti e le sparizioni che il controspionaggio non è riuscito a fermare. Sono almeno sei, da Ali Reza Asgari, ex viceministro delle Finanze che svanì nel nulla durante una visita in Turchia nel 2006 a Ardeshir Hosseinpour, morto per “soffocamento da gas” nel 2007, lavorava anche lui allo stesso impianto di Natanz dove Roshan era supervisore. Il prossimo 2 marzo, in questo clima da assedio esterno e interno, il paese va a votare scegliendo tra due liste conservatrici.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)