Divorzi a Damasco

Daniele Raineri

In Siria circola la voce sulla defezione più grave di tutte, da fare scolorire le precedenti: la moglie del presidente, Asma el Assad, la Rosa del deserto protagonista a febbraio di un servizio sdolcinato su Vogue America, avrebbe lasciato Bashar el Assad e sarebbe tornata a Londra, dove era nata la loro storia d’amore (“non sapevo come spiegare al mio capo che stavo abbandonando il lavoro per sempre – raccontò lei – credeva fosse una crisi passeggera, diceva ‘tranquilla anche a me è capitato’”).

    In Siria circola la voce sulla defezione più grave di tutte, da fare scolorire le precedenti: la moglie del presidente, Asma el Assad, la Rosa del deserto protagonista a febbraio di un servizio sdolcinato su Vogue America, avrebbe lasciato Bashar el Assad e sarebbe tornata a Londra, dove era nata la loro storia d’amore (“non sapevo come spiegare al mio capo che stavo abbandonando il lavoro per sempre – raccontò lei – credeva fosse una crisi passeggera, diceva ‘tranquilla anche a me è capitato’”). Le voci sulla famiglia corrono, considerato che il clan al potere s’era rifugiato nell’ombra già in tempi normali e ora vive in isolamento – si dice, ecco un’altra voce, che i genieri dell’esercito stiano preparando un ultimo rifugio militare sui monti che affacciano sulla costa di Latakia, fra i boschi della zona di al Ansariyya e del Krek de Chevalier, il castello dei crociati, su nel nord del paese, dove montare l’ultima difesa se scoppia la guerra civile e la capitale diventa troppo violenta. Un parlamentare dell’opposizione libanese, Khaled Daher, sostiene da due settimane che Maher el Assad, il generale spietato e fratello di Bashar, è ferito gravemente oppure è stato dimissionato per disaccordi e sfida il fratello presidente a farlo apparire di nuovo in pubblico.

    Ieri Bashar el Assad è tornato senza fratello nell’aula magna dell’Università di Damasco a parlare in tv dopo un silenzio di quattro mesi, ma lui “non è breve come Mubarak e non è divertente come Gheddafi”, è il commento popolare in diretta. La strategia di comunicazione del regime procede a scatti e buchi, perché Assad e i suoi un po’ si mostrano e tanto no. Il discorso non era mirato a persuadere la maggioranza sunnita che protesta – ieri sono morti in 31. Né, tantomeno, era rivolto all’Esercito libero di Siria, l’insieme delle bande di soldati che hanno disertato per combattere contro il regime. Sono due categorie ormai perse alla causa. Il discorso mirava piuttosto a escludere la possibilità che Assad possa accettare un patto di transizione che gli costi il posto.

    Il quarto discorso del presidente dall’inizio della crisi segue lo schema provato nelle occasioni precedenti. Forze straniere vogliono il male del paese, sognano di dividerlo. Non ce la faranno a distruggere la nostra identità. La Lega araba ignora le nostre riforme, sono confusi da esse. Se ascoltassimo i loro consigli sulle riforme – frecciata ai sauditi e ai regni del Golfo – dovremmo arretrare di cento anni. I loro consigli sono quelli di un dottore che con la sigaretta in bocca dice al paziente che deve smettere di fumare. La Lega araba, ancora,  riflette la situazione miserabile dei paesi arabi. E’ riuscita a fermare la divisione del Sudan? E’ riuscita a sfamare una sola persona affamata in Somalia? La Siria è il cuore che batte, l’essenza dell’arabismo, non sono i siriani a dirlo ma è una frase del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser. Ci sono stati errori nella repressione, le forze di sicurezza non sono autorizzate a sparare (questo punto sarà utile, in caso di imputazione davanti a una corte, nazionale o internazionale), se non in caso di legittima difesa o quando affrontano nemici armati. Un paese forte è quello che sa quando perdonare e quando invece riportare i propri figli sulla strada giusta. La vendetta non costruisce nazioni, soltanto il perdono può riuscire.

    Si divorzia anche sull’altro fronte, quello dell’opposizione. Secondo Mariam Karouny della Reuters – a Beirut – da lunedì le due fazioni anti Assad sono finalmente d’accordo sulla necessità di un intervento militare dall’esterno – come quello della Nato in Libia – ma per arrivare all’accordo stesso si sono scontrate con tale intensità che i poteri occidentali ora non hanno nessuna intenzione di impegnarsi per un’opposizione così spezzata. A Parigi il professor Burhan Ghalioun, capo della fazione esule, perde sempre più peso a favore dei siriani sul campo.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)