La frenesia ipercinetica che ancora non basta a far decollare Sarkozy
Già di suo e in tempi normali sembra che abbia la sindrome di Tourette, è permanentemente agitato, una ne fa, due ne dice e tre ne pensa. Figurarsi ora che è entrato nel periodo di massima turbolenza, i cento giorni che mancano al primo turno delle elezioni presidenziali. Nicolas Sarkozy si gioca il tutto per tutto, dentro e fuori le frontiere. Con un occhio all’Europa che se la passa male e alla Francia che non sta tanto bene, deve tenere d’occhio la Merkel che sarà pure compagna di direttorio ma pretende sempre di imporre qualcosa e se dà una mano lo fa pesare eccome.
Già di suo e in tempi normali sembra che abbia la sindrome di Tourette, è permanentemente agitato, una ne fa, due ne dice e tre ne pensa. Figurarsi ora che è entrato nel periodo di massima turbolenza, i cento giorni che mancano al primo turno delle elezioni presidenziali. Nicolas Sarkozy si gioca il tutto per tutto, dentro e fuori le frontiere. Con un occhio all’Europa che se la passa male e alla Francia che non sta tanto bene, deve tenere d’occhio la Merkel che sarà pure compagna di direttorio ma pretende sempre di imporre qualcosa e se dà una mano lo fa pesare eccome, deve rincuorare i propri elettori che non vibrano più d’antica passione, sedurre gli indecisi, caricare a testa bassa i tanti che a ogni costo vogliono che se ne vada. Insomma l’impresa non è semplice, in così poco tempo. E poi, non ha ancora le mani libere visto che a tutt’oggi non ha ancora annunciato che sarà di nuovo candidato, la forbice nei sondaggi si è ristretta ma sta ancora due punti dietro François Hollande, 26 contro 28 delle intenzioni di voto per lo challenger socialista. Non ha nemmeno la certezza di essere presente al secondo turno, non è ancora riuscito a far dissolvere l’incubo di un 2002 alla rovescia: la Giovanna d’Arco di populisti, xenofobi e nostalgici, la bionda Marine Le Pen, sale nei sondaggi lentamente ma metodicamente e rimane nella scia con il 19 per cento delle intenzioni di voto.
Ma le difficoltà, si sa, non spaventano il piccolo uomo di grande e cattivo carattere che governa la Francia. Sarko ronza instancabile come un calabrone sotto vetro, medita ogni cosa e il suo contrario, pur di aprire un varco e sfondare. La sera del 31 dicembre, nel corso del tradizionale discorso ai francesi, il presidente ha rilanciato la tassazione delle transazioni finanziarie, la cosiddetta Tobin tax, che nel merito ha poco a che vedere con quanto proposto tempo fa dall’economista keynesiano e poi ripreso dai movimenti di un altro mondo, da Attac al forum di Porto Alegre. Sarkozy ha detto che la Francia è pronta ad aprire la strada da sola: un disegno di legge verrà presentato a febbraio e ogni scambio tra istituzioni finanziarie, di cui almeno una residente in Francia, sarà tassato con uno 0,1 per cento per l’acquisto di azioni e obbligazioni e uno 0,01 per cento per i prodotti derivati. Se non che dei prodotti derivati si sa sempre poco, molti scambi che avvengono nella stessa giornata non sono nemmeno registrabili e quanto al mercato obbligazionario non si vede come lo stato (a sua volta grande emittente di obbligazioni) possa chiedere agli investitori di comprarle applicandoci sopra una sovrattassa. E’ un primo sintomo di frenesia da recupero elettorale in cui l’effetto d’annuncio deve prevalere sulla realtà. La proposta, a meno che non venga fatta propria dall’Europa intera, cosa niente affatto sicura vista la resistenza di Cameron, di una parte del governo tedesco e di alcuni paesi dell’Unione, si ridurrà molto più modestamente all’applicazione di una tassa di bollo sull’acquisto di azioni. Proprio quella che era in vigore fino a tre anni fa e che fu abolita da Sarkozy all’inizio del suo mandato, meno alta per giunta di quello 0,5 per cento che si paga a Londra dove la “stamp duty reserve tax” porta ogni anno nella casse del Tesoro britannico tre miliardi di sterline.
E’ evidente che Sarkozy intendesse almeno in parte canalizzare la rabbia diffusa nei confronti di banche e finanza e intercettare un po’ di elettori di sinistra. L’operazione è in parte fallita, anche perché Hollande ha prontamente reagito dicendosi anche lui d’accordo con la Tobin tax, sia pure a certe condizioni. Non è rimasto al presidente che farsi prendere a bersaglio da qualche spiritoso internauta che parafrasando Lenin lo ha soprannominato “le Fouquets plus les soviets”.
Ha tutta l’aria di un petardo bagnato anche l’altra pazza idea presidenziale, una di quelle che conviene sempre fare a inizio mandato, la cosiddetta “TVA sociale”: in pratica si tratta di aumentare dal 19,6 al 25 per cento l’Iva per finanziare il ramo “famiglia” dello stato assistenziale diminuendo in modo considerevole i contributi versati dalle imprese. D’evidenza è una misura che non fa aumentare i salari e penalizza i consumi, dunque è totalmente recessiva. Persino alcuni esponenti della maggioranza non la vedono di buon occhio e lo stesso ministro del Lavoro chiede una riduzione concomitante dei contributi versati dai lavoratori dipendenti.
Parlare di grandi riforme a tre mesi dalle elezioni raramente funziona, tanto più se l’opinione pubblica è scottata o delusa per i troppi annunci mirabolanti del passato rimasti in gran parte lettera morta. Per Sarko la differenza tra vittoria e sconfitta passa per la vecchia, tradizionale politica: dividere i potenziali avversari e presentarsi al secondo turno con le giuste alleanze. In una parola essere capace di parlare agli elettori moderati. O se si vuole la legnosa incapacità del candidato socialista di fare altrettanto, puntualmente verificatasi da un quarto di secolo a questa parte.
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