Ricchi clochard
C’è un momento penoso nella storia della barba di un uomo, ed è quello in cui la barba non è ancora vera barba e non è più barba incolta. E’ il momento Marchionne. Che ha deciso di abbandonare la divisa da sabato pomeriggio (pullover nero) e allontanarsi ancora di più dall’immagine lucidata, che non gli è mai piaciuta perché è laureato prima di tutto in Filosofia, da amministratore delegato Fiat. Bisogna ringraziarlo perché ultimamente le automobili sono andate piuttosto male, ma Marchionne ci ha risparmiato pochette nel taschino, doppiopetti, scarpe a specchio.
C’è un momento penoso nella storia della barba di un uomo, ed è quello in cui la barba non è ancora vera barba e non è più barba incolta. E’ il momento Marchionne. Che ha deciso di abbandonare la divisa da sabato pomeriggio (pullover nero) e allontanarsi ancora di più dall’immagine lucidata, che non gli è mai piaciuta perché è laureato prima di tutto in Filosofia, da amministratore delegato Fiat. Bisogna ringraziarlo perché ultimamente le automobili sono andate piuttosto male, ma Marchionne ci ha risparmiato pochette nel taschino, doppiopetti, scarpe a specchio, brillantina nei capelli, aria abbronzata e ultra manageriale con sorriso sbiancato da squalo di mondo (anzi, per un periodo Marchionne è andato in giro con un buco al posto di un incisivo perché non trovava il tempo di andare dal dentista). Adesso, la barbetta da lungodegente (le vacanze di Natale sono in genere così spaventose che le difese immunitarie crollano e ci si ammala) e la sciarpa da clochard, anche se probabilmente intessuta con organi interni di operai specializzati in esubero, rendono ancora più atipica e interessante l’estetica padronale in tempo di crisi. E’ un’estremizzazione della sobrietà, un tipo di understatement a prova di Equitalia che però rifiuta il loden, è la possibilità per il più sottopagato tecnico Fiat con turni all’alba di consolarsi per l’aria stropicciata del capo, con i capelli tagliati al volo dal cinese aperto di domenica notte (si guarda Monti e viene da correre a infilarsi giacca e cravatta e dire, riferendosi a Cortina, “la perla delle Dolomiti”, si guarda Marchionne e si viene presi dal desiderio di dormire sotto le stelle, bruciando i copertoni delle Fiat per riscaldarsi).
Quanti secondi sono necessari per un nodo decente alla cravatta? Troppi, quindi via il nodo alla cravatta (e guardando i nodi storti, mollicci, enormi di chi continua ogni mattina a legarsi un cappio al collo, o una borsa dell’acqua calda, è chiaro che ha ragione Marchionne). Quanto tempo si spreca nel fare abbinamenti di colore, la mattina fra giacche, camicie e pantaloni? Troppo, quindi Marchionne ha optato per la divisa (come Paperino, come Silvio Berlusconi). Quanti minuti per farsi la barba senza sfregi? Troppi, quindi addio anche al rasoio (si spera che, nel conto delle perdite di tempo, Marchionne non abbia messo anche le docce). Quanti soldi si perdono a restare in Italia? Troppi, quindi forse è il caso di andarsene e cancellare per sempre “l’attaccamento emotivo al proprio paese”. Il nuovo look sans papier di Sergio Marchionne ha a che fare con la necessità di risparmiare tempo. Oltre, naturalmente, alla fascinazione per i professori universitari americani, quelli che nei romanzi di Philip Roth hanno le toppe sui gomiti, borse sotto gli occhi e autorevolezza professionale ed erotica.
Nel caso di Marchionne e del suo fantasmagorico compenso, è possibile che i suoi pullover consunti dalle riunioni e dai voli intercontinentali vengano salvati cucendoci sopra toppe in pelle di puro cassintegrato, ma il messaggio è chiaro: l’immagine capitalistica è superata, il padrone deve mostrare, almeno fisicamente, una certa compassione sociale, solidarietà estetica per l’impoverimento dei dipendenti. Il giorno in cui deciderà di chiudere Torino, Marchionne forse si vestirà da manifestante incatenato ai cancelli.
Il Foglio sportivo - in corpore sano