Calci paralleli

Il pupillo e lo sgobbone

Sandro Bocchio

Era necessaria la faccia più triste per trasformare il derby in una festa. Ma anche Milito si è alla fine sciolto in un sorriso per la vittoria che riconsegna l'Inter alla lotta scudetto e ripropone l'argentino quale terminale offensivo implacabile. E dall'altra parte guardava Pato. Uno che, invece, dal talento è stato baciato. Un talento mai sbocciato pienamente perché il brasiliano – al contrario di Milito - è tutt'altro che sgobbone.

    Era necessaria la faccia più triste per trasformare il derby in una festa. Ma anche Milito si è alla fine sciolto in un sorriso per la vittoria che riconsegna l'Inter alla lotta scudetto e ripropone l'argentino quale terminale offensivo implacabile. Uno che sembrava perso dopo il Triplete: coppa Italia, scudetto e Champions League, segnato dall'unico colpo di testa in una carriera fatta di dichiarazioni a contenuto ipoemozionale, il desiderio espresso nella notte di Madrid di seguire Mourinho al Real. Un mal di pancia sanato da un contratto quinquennale ma trasferito ai tifosi nerazzurri, che non avrebbero più palpitato per Milito: troppi i guai fisici uniti ai troppi tentennamenti nella gestione tecnica. Da Benitez a Leonardo, fino a Gasperini che ha atteso invano il suo uomo di Genova.

    Un'attesa trasferita a Ranieri, che non ha forzato i tempi e ha metabolizzato errori clamorosi come quello contro il Genoa. La squadra dove molti (sia nerazzurri sia rossoblù) avrebbero voluto che Milito tornasse e che invece ha dovuto accontentarsi di Gilardino. Perché l'argentino è uno sgobbone che ha costruito la carriera sul lavoro: ha cominciato a vincere solo dopo i 30 anni, chi lo obbliga a lasciare una squadra dove può ancora ripetersi? Lui sa che il talento può essere bilanciato da fatica e intuito. Una testardaggine che d'incanto l'ha sbloccato con il Lecce e lo ha portato a segnare quattro reti nelle ultime tre partite. La più importante domenica notte, pronto a punire l'errore di Abate e a piazzare il pallone nel poco spazio disponibile tra la mano di Abbiati e il palo.

    E dall'altra parte guardava Pato. Uno che, invece, dal talento è stato baciato. Altrimenti il Milan non avrebbe speso 22 milioni nel 2007 per prenderlo a 17 anni dall'Internacional, cifra-record per un minorenne. Un talento mai sbocciato pienamente perché il brasiliano – al contrario di Milito - è tutt'altro che sgobbone. Atteggiamento che poteva essere compreso durante la gestione apparentemente bonaria di Ancelotti ma non sotto quella chiaramente decisionista di Allegri: chiedere a Ronaldinho, Pirlo e Inzaghi come hanno risolto i conflitti con il tecnico. Anche su Pato sembrava averla vinta Allegri: un biglietto per Parigi dove ritrovare il mentore Ancelotti e l'amico Leonardo.

    In cambio i soldi per Tevez, uno bravo e cattivo come pretende l'allenatore rossonero. Però il brasiliano cambia idea, Berlusconi pone il veto (per ragioni tecniche, ma con la figlia Barbara affettivamente di mezzo non si saprà mai...) e l'affare salta. Fino alla sorpresa di Pato titolare nel derby, per un finale scritto dai segnali disseminati in stagione: un unico lampo - la rete a tutta velocità a Barcellona - e un solo gol in campionato. Inutile, con il Chievo, come è inutile chiedere a Ibrahimovic chi vorrebbe al suo fianco. Lo svedese stravede per Cassano e non ha mai sopportato Pato. E i tifosi lo imitano: i fischi alla sostituzione segnano una distanza siderale dagli applausi con cui venne accolto Kakà dopo il mancato passaggio al Manchester City. Rifiuti identici, finali opposti.