La banalità del mare

Carlo Panella

Il comandante Franco Schettino è ora ai ferri, in una situazione non dissimile da quella di Lord Jim. Solo che il primo ufficiale del Patna di Joseph Conrad abbandonò nave e passeggeri diretti alla Mecca in piena tempesta tropicale. Il nostro Lord Jim di Meta di Sorrento, invece, è stato beffato dal destino a mare calmo, addirittura piatto, in una bella notte stellata, senza un refolo di vento.

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    Il comandante Franco Schettino è ora ai ferri, in una situazione non dissimile da quella di Lord Jim. Solo che il primo ufficiale del Patna di Joseph Conrad abbandonò nave e passeggeri diretti alla Mecca in piena tempesta tropicale. Il nostro Lord Jim di Meta di Sorrento, invece, è stato beffato dal destino a mare calmo, addirittura piatto, in una bella notte stellata, senza un refolo di vento.

    Pure, molto si può addebitare a capitan Schettino, anche l’infamia dell’abbandono, ma non certo di non avere saputo reagire magistralmente al disastro. Perché manovrare un leviatano immenso di 114.500 tonnellate non è  facile; e ancor meno facile è decidere, in un pugno di secondi di sacrificare nave e carriera, gettando l’ancora,  facendo filare tutte le catene, riuscendo così a incagliarla giusto all’imboccatura del porto del Giglio, salvando così molte vite. Avesse manovrato con timone ed eliche, la nave, con l’abbrivio del suo peso e della sua velocità, avrebbe virato con raggio immenso e sarebbe con tutta probabilità affondata al largo.

    Come Lord Jim, capitan Schettino conoscerà d’ora in poi il disonore peggiore per un uomo di mare, perché la seconda manovra perfetta, mai potrà bilanciare la prima, sventurata: la decisione folle di fare rotta a 150 metri dalle rocce sommerse delle Scole. Folle, abbiamo detto e oggi tutti pontificano su tanta dissennatezza, ma capitan Schettino folle non era. Era solo prigioniero del peccato originale della natura stessa di quella nave, di quelle crociere: banalizzare il mare. Questa è l’idea che ebbe negli anni Settanta quel genio di armatore che fu Ted Arison, terza generazione di ebrei romeni riparati in Israele per sfuggire i pogrom dell’800. Un  “sabra”, un cactus, corteccia di spine, ma  polpa delicata, volontario nella Jewis Brigade a combattere i nazisti risalendo l’Italia, da Brindisi al Tarvisio. La mission della sua Carnival Cruise Lines era semplice: crociere per tutti, non più solo per i vip. Prima di Arison, la crociera era sfizio da ricchi. A bordo, oltre a cinema e piscina, il massimo dello svago era guardare il mare sdraiati su chaises longues di picepine, protetti da spessi plaids, il boy lesto a servire tè alle lady e punch ai gentlemen, il barman pronto al cocktail, al massimo, sul ponte più alto, una partita di shuffleboard, il gioco della piastrella, noiosissimo curling su legno, il pomeriggio un bingo nel salone. Tutto tanto tanto chic, ma per nulla cheap. Sulle navi di Arison, invece, sale chiunque per pochi dollari, a godersi una settimana “come i ricchi” a prezzi da Rimini. Lenta, inesorabile, iniziò la banalizzazione del mare.

    Giocoforza le navi della Carnival – che controlla la Linea Costa – sempre più spinsero il passeggero a infischiarsene del mare. Di più: attrassero passeggeri del tutto indifferenti al mare, a decine di milioni l’anno. Niente più chaises longues e romantico sguardo all’orizzonte, ma una settimana a voltare le spalle alle onde e a sollazzarsi con tutto: piste da jogging, slot machine, idromassaggi, pattinaggio su ghiaccio. Anche l’assurdo free climbing a poppa, come sulla Oasis of the Seas, all’inizio di un canyon tra due immensi palazzoni stile Tor Bella Monaca. Essere su una nave, ma far finta di stare tra i monti e scalare una parete di roccia di plastica: il massimo. Insomma, un luna park, nient’altro. Il mare: solo un liquido su cui spostarsi, da non guardare neanche, perché c’è ben altro da fare. La banalità del mare: questa la nuova filosofia della crociera. Le navi, sempre più alte di bordo, con i 13 ponti sopra la tolda della Costa Concordia, contro gli 8 della Michelangelo, non manovrabili con pochi nodi di vento, costrette a riparare in rada con un po’ d’onda. Compounds, condomini sul mare. Da qui, la scelta di rischiare tutto pur di far vedere le case del Giglio, come si sfila, oltraggio alla Serenissima, con questi luna park galleggianti davanti a riva degli Schiavoni per vedere, per minuti  3, piazza San Marco.

    Ma il mare non risparmia chi non lo teme e tra gli dèi Poseidone è il più iracondo e sa crear tempesta anche nella mente degli umani, ammalandola. Vittima della falsa cultura fatta di banalità del mare, capitan Schettino, pur provetto nella manovra, accecato da Poseidone, si è avvicinato troppo alla terra, solo per far vedere ai suoi passeggeri il presepe delle case del Giglio. Come a Gardaland. E il dio l’ha punito straziando il ventre del suo Leviatano d’acciaio. Nello squarcio dello scafo, ora oscenamente esposto al cielo, è incastonata ancora la punta acuminata del suo tridente, di roccia. Un memento.

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