Tre dubbi di liberista doc sulle liberalizzazioni del prof. Monti

Carlo Stagnaro

Se sembra un’anatra, nuota come un’anatra e fa qua-qua come un’anatra, probabilmente è un’anatra. E se non fa qua-qua? L’enfasi di questi giorni sulla crescita economica rischia di far trattare alla stessa stregua provvedimenti di apertura del mercato con altri che, invece, sono semplicemente dirigismo d’altro segno. Il discrimine è piuttosto evidente: liberalizzare significa rimuovere le barriere alla competizione.

    Se sembra un’anatra, nuota come un’anatra e fa qua-qua come un’anatra, probabilmente è un’anatra. E se non fa qua-qua? L’enfasi di questi giorni sulla crescita economica rischia di far trattare alla stessa stregua provvedimenti di apertura del mercato con altri che, invece, sono semplicemente dirigismo d’altro segno. Il discrimine è piuttosto evidente: liberalizzare significa rimuovere le barriere alla competizione. Così, nelle bozze del decreto che il Consiglio dei ministri discuterà dopodomani, accanto a riforme coraggiose come la separazione della rete ferroviaria da Fs, potrebbe esserci il tentativo di cambiare i connotati al mercato ope legis.

    Prendiamo tre casi: i carburanti, le assicurazioni e le autostrade – tre settori dove è facile trovare “nemici pubblici” e capri espiatori. L’irritazione per il caro pieno è comprensibile. Se da un lato i rincari sono stati guidati dai continui aumenti delle accise, dall’altro le inefficienze dovute all’insufficiente competizione a valle sono certamente rilevanti, anche se di un ordine di grandezza inferiore, ma difficilmente quella del governo può essere una risposta efficace. Si parla infatti di due provvedimenti: il rilassamento dei vincoli di esclusiva che impegnano i gestori ad acquistare i carburanti dalle compagnie di cui battono i colori (e che sono proprietarie degli impianti) e la cessione più o meno forzosa di una porzione della rete. In entrambi i casi si tratterebbe di violazioni della libertà contrattuale, che però rischierebbero di sortire scarse conseguenze. Quello che serve è consentire ai nuovi entranti di aprire nuovi e migliori punti di rifornimento, e se questo non avviene non è colpa della perfidia o del potere dei petrolieri, ma di norme regionali anticompetitive che, tra l’altro, l’Antitrust ha più volte preso di petto. Un tema simile riguarda le assicurazioni, dove l’esecutivo pare intenzionato a vietare, nel ramo vita, le reti di distribuzione in esclusiva, già escluse nel ramo danni dalle lenzuolate di Pier Luigi Bersani. Anche qui, la visione della concorrenza è parziale: il presupposto è che i diversi prodotti possano competere solo se venduti dallo stesso agente. Ciò implica la scelta collettiva a favore di un modello di business (quello basato su agenti plurimandatari), mentre l’esperienza suggerisce che al consumatore conviene la competizione anche tra organizzazioni commerciali differenti. All’indomani del decreto Bersani, l’Istituto Bruno Leoni ha pubblicato uno studio di Jacopo Perego che, nei dati italiani, ha trovato la conferma di tale evidenza già ampiamente emersa dalla letteratura internazionale.

    Infine, le autostrade si collocano su un terreno diverso. L’idea sembra essere quella di affidarne la regolazione a un’agenzia più o meno indipendente. Di per sé non sarebbe sbagliato, ma occorre mettersi d’accordo su cosa sia la regolazione. Trattandosi di concorrenza “per il mercato” – cioè di concessioni affidate tramite procedure a evidenza pubblica – sarebbe logico aspettarsi una focalizzazione sulla gestione della gara e il rispetto dei termini contrattuali. Invece, pare che in ballo ci sia la revisione degli schemi tariffari che sono proprio l’oggetto della gara. Questa non è liberalizzazione: è polverizzazione della certezza del diritto.
    Qualunque liberalizzazione, beninteso, implica un cambiamento delle regole. Solo che un conto è riscrivere regole che, nella forma attuale, hanno l’effetto di produrre o tutelare rendite; altro è giocare a dadi con l’organizzazione industriale o la libertà contrattuale. Liberalizzare è uno sforzo soprattutto formale: significa creare condizioni perché la concorrenza possa svolgersi, e vinca il migliore. Scegliere vincitori e perdenti, o pretendere di influenzare gli esiti del mercato, è tutto un altro gioco.