Riecco il partito grancoalizionista

Salvatore Merlo

“Unirsi adesso da amici, per separarsi dopo da avversari. Se non è una grande coalizione, allora chiamiamola ‘larga’ coalizione”, dice Enrico Letta. Finora è stato quasi soltanto un gioco obbligatorio di futilità introduttive, cortesi temporeggiamenti e abbocchi furtivi tra Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini; ma ieri Pdl, Pd e Udc hanno approvato la loro prima mozione unitaria, e sul tema più divisivo della storia italiana degli ultimi vent’anni: la Giustizia. Domani i tre partiti si riuniscono, ancora, per scrivere la seconda mozione unitaria, quella sull’Europa.

    “Unirsi adesso da amici, per separarsi dopo da avversari. Se non è una grande coalizione, allora chiamiamola ‘larga’ coalizione”, dice Enrico Letta. Finora è stato quasi soltanto un gioco obbligatorio di futilità introduttive, cortesi temporeggiamenti e abbocchi furtivi tra Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini; ma ieri Pdl, Pd e Udc hanno approvato la loro prima mozione unitaria, e sul tema più divisivo della storia italiana degli ultimi vent’anni: la Giustizia. Domani i tre partiti si riuniscono, ancora, per scrivere la seconda mozione unitaria, quella sull’Europa. Così l’aggettivo “grande” associato al sostantivo “coalizione” compone una formula che ricomincia a essere maneggiata nelle stanze del Pd e del Pdl (e soprattutto della speranzosa Udc); malgrado i dirigenti dei partiti vi si accostino con riverenza e timore, quasi avessero tra le mani un ordigno capace di esplodere. “La prudenza è obbligatoria e fanno bene Alfano e Bersani ad andarci piano. Non sarebbe facile spiegare il passo indietro di Berlusconi agli elettori del Pdl ricorrendo alle categorie della politica. Noi ci uniamo per salvare l’Italia e sostenere Monti”, dice l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini.

    Per questo Alfano e Bersani hanno inventato, insieme, la formula di “maggioranza salva Italia”, una specie di mistero linguistico, il velo dell’unità nazionale favorito dagli auspici di Giorgio Napolitano (ma anche dalle convenienze dei partiti), un pasticcio sintattico che solo Casini ha interesse a svelare forse prima del tempo (attenti, dice il leader dell’Udc, perché la maggioranza “è politica”). “Le ultime quarantotto ore hanno segnato un cambio di passo, con la mozione unitaria e l’incontro pubblico tra Alfano, Bersani e Casini”, dice Enrico Letta. “Questo è il tempo della stabilità, dopo la fase emergenziale. Tra Pdl, Pd e Udc rimangono le differenze, ma ci si è assunti la responsabilità di essere sul serio coalizione. Una ‘larga coalizione’, ancora alla ricerca di un proprio baricentro, ma pur sempre una coalizione; che adesso ha l’opportunità e il dovere di riscrivere la legge elettorale all’interno di una meccanica di affidamento reciproco. Una legge che permetta ai partiti di vincere guardando verso il centro, e non valorizzando, com’è stato negli ultimi anni, le forze estreme. Poi torneremo a dividerci, com’è fisiologico e normale che sia, alle elezioni”.

    E difatti nella segreteria del Pd e nei corridoi del Pdl, quando i dirigenti si guardano negli occhi, lontani dai cronisti impiccioni, com’è successo ieri alla direzione del Pd o durante il vertice notturno a casa del Cavaliere a Palazzo Grazioli, l’espressione “maggioranza salva Italia” – roba da negozio di casalinghi: salvavita, salvaspazio, salvamuro – non la usa proprio nessuno. Se nei due maggiori partiti esistono gli scettici, come il berlusconiano Ignazio La Russa, e i freddi pragmatici, come il democratico Stefano Fassina, in entrambi i partiti si rafforza ogni giorno di più il gruppo trasversale dei costruttori di ponti (o di dedali sottomarini tra i gruppi parlamentari), quello dei sostenitori, ma guai a rivelarlo, della grande – o larga – coalizione. “Una maggioranza che lavora nel comune interesse”, la definisce Frattini; mentre Letta si lascia andare, proprio quando si diffondono rumori intorno alle vere, presunte o verosimili intenzioni furbesche del Cavaliere: “Io soprattutto mi fido di Alfano”, dice.

    Neanche a dirlo: il più entusiasta è Casini; malgrado osservi con sospetto le mosse di Berlusconi e tema rapporti troppo intimi tra Alfano e Bersani. “Noi, prima di tutto, dobbiamo dialogare col Pd”, dice Mariastella Gelmini confermando le alterne inquietudini del leader dell’Udc: la paura di essere scavalcato, di subire – e non dirigere – l’orchestra della riforma elettorale. Ma i terrori di Casini non hanno nessun fondamento logico: ho l’acqua per l’orto e le cose mi vanno bene, pensa lui mentre prova a convincersi, ogni qualvolta il dubbio lo sfiora, che i suoi timori altro non sono che le secrezioni irrazionali di chi sta già allungando la mano verso la mela, una specie di acquolina che lo rode.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.