Codice De Falco
Ne abbiamo sempre bisogno. Aspettavamo con ansia quel “Vadaabordocazzo” come aspettiamo ogni volta, in “Full Metal Jacket”, “Qui non si fanno distinzioni razziali, qui si rispetta gentaglia come negri, ebrei, italiani e messicani. Qui vige l’uguaglianza, non conta un cazzo nessuno. I miei ordini sono di scremare tutti quelli che non hanno le palle per servire nel mio beneamato corpo. Capito bene, luridissimi vermi??”, con la stessa tensione in cui in “Codice d’onore” vogliamo che Jack Nicholson risponda alla domanda finale: “Ordinò lei il codice rosso?”.
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Ne abbiamo sempre bisogno. Aspettavamo con ansia quel “Vadaabordocazzo” come aspettiamo ogni volta, in “Full Metal Jacket”, “Qui non si fanno distinzioni razziali, qui si rispetta gentaglia come negri, ebrei, italiani e messicani. Qui vige l’uguaglianza, non conta un cazzo nessuno. I miei ordini sono di scremare tutti quelli che non hanno le palle per servire nel mio beneamato corpo. Capito bene, luridissimi vermi??”, con la stessa tensione in cui in “Codice d’onore” vogliamo che Jack Nicholson risponda alla domanda finale: “Ordinò lei il codice rosso?”, “Ho fatto quello che…”. “Ordinò lei il codice rosso?”, “Certo che l’ho ordinato, che cazzo credi!?”. A quel punto ci si sente più forti. Come se glielo avessimo tirato fuori di bocca noi, a Jack Nicholson, il codice rosso, come se fossimo riusciti a dire “Muoviti altrimenti ti strappo le palle così ti impedisco di inquinare il resto del mondo, palla di lardo” al tecnico della tivù che continua a ignorare le nostre richieste di aiuto e consiglia solo di staccare e riattaccare la spina. E’ il bisogno (spesso fantozziano) di rivalsa, il motivo che ci fa adorare il capitano De Falco perché avremmo voluto dire noi, allo sciagurato Schettino, “Vada a bordo cazzo!”. Non tanto (anche se ci raccontiamo che è così, e ci immaginiamo in divisa in mezzo alla bufera, severi, efficienti, energici) per tensione verso l’eroismo, il decisionismo, il rigore, ma per bisogno di sfogo e di tifo, di liberazione dal nodo in gola.
Siamo pieni di “Vadaabordocazzo” che ci restano nello stomaco, che riusciamo a urlare, con l’effetto dei nostri sogni (lunghi applausi al coraggio, alla prontezza), quasi esclusivamente per interposta persona. “Vadaabordocazzo” era una cosa seria, gridata dentro un telefono in una situazione di emergenza tragica a un comandante che rispondeva con toni da commedia anch’essa tragica, ma l’entusiasmo feroce con cui è stato accolto, rilanciato, stampato ovunque, il piacere evidente con cui ieri mattina il conduttore del tigì lo ripeteva di continuo, raccontano più di noi che dell’incubo del Concordia e di un serio capitano di fregata (se fosse stata solo una commedia, si sarebbe pututo perfino dire che “Vada a bordo cazzo” evocava “Fantocci cazzi quella gomena”). La sfuriata di De Falco contiene tutte le nostre anche meschine sfuriate interiori, o le nostre sfuriate senza pubblico e senza successo, per motivi assai meno tragici.
Per i tassisti romani che si fanno sobillare dai tassisti napoletani e ci lasciano a piedi al gelo, per l’impiegato che ogni volta aggiunge un documento alla lista delle cose da portare per la pratica e scuote la testa, per il tizio che ha parcheggiato l’automobile davanti alla porta di casa nostra chiudendoci il passaggio, per quella del piano di sopra che non chiude mai l’ascensore, per le tasse, l’amore, l’inverno, per l’assenza di Maldive, per il nostro genio incompreso. Gregorio Maria De Falco è il finale preferito, quello in cui però la battuta cambia le cose, il comandante ritorna in sé, risale sulla nave e salva tutti, fino all’ultimo musicista che ha lasciato il posto a un bambino sulla scialuppa ed è scomparso nella notte. Poi Richard Gere arriva, prende Debra Winger in braccio e tutta la fabbrica applaude. Non è andata così, non va quasi mai così, per questo ci piace consolarci con ovazioni, sputi e grandiosi sogni di sfuriate.
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Il Foglio sportivo - in corpore sano