Caro Monti ti scrivo
Sulle scrivanie di Palazzo Chigi, del Tesoro e dello Sviluppo economico si affastellano appunti e note riservate che i grandi gruppi pubblici hanno mandato in vista del decreto sulle liberalizzazioni che il Consiglio dei ministri ha approvato oggi. Il colosso che appare più intaccato dal decreto è Eni. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, aveva assicurato giorni fa che la separazione di Snam rete gas dall’Eni non era una “priorità” per il governo.
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Sulle scrivanie di Palazzo Chigi, del Tesoro e dello Sviluppo economico si affastellano appunti e note riservate che i grandi gruppi pubblici hanno mandato in vista del decreto sulle liberalizzazioni che il Consiglio dei ministri ha approvato oggi.
Il colosso che appare più intaccato dal decreto è Eni. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, aveva assicurato giorni fa che la separazione di Snam rete gas dall’Eni non era una “priorità” per il governo, però nelle ultime bozze del decreto la separazione proprietaria della rete è sancita chiaramente, con un rimando a un successivo decreto. Non si sa chi abbia più premuto per intervenire sul gruppo controllato dal Tesoro, se il ministero dell’Economia o quello dello Sviluppo capeggiato da Corrado Passera, sta di fatto che la separazione della rete, auspicata anche dall’Antitrust, è prevista. “Non è una liberalizzazione, sono metodi bolscevichi”: i vertici dell’Eni smentiscono, ma c’è chi assicura che questo concetto sia stato espresso dall’ad dell’Eni, Paolo Scaroni. Al di là delle indiscrezioni, da fonti governative arriva la conferma di una dettagliata, e a tratti irata, relazione scritta dal Cane a sei zampe presieduto da Giuseppe Recchi. Il passaggio più netto che ha colpito Palazzo Chigi è il seguente: “Nessuno dei paesi europei, con una struttura di mercato analoga a quella italiana, ha adottato la separazione proprietaria del gas”.
Da ambienti del Tesoro, invece, si rimarca un brano più conciliante: “Un’operazione che abbia per oggetto tutta o una parte importante della partecipazione nella Snam corporate quotata in Borsa sarebbe certamente valutata con attenzione”. Come dire: Eni è disponibile a valutare la cessione di una parte dell’intera Snam. Il dossier, agli occhi dei tecnici ministeriali che l’hanno letto, fa capire: è inammissibile una cessione per legge di Snam rete gas a Terna, la società statale proprietaria della rete elettrica. “Ci sono rilevanti limiti giuridici da tenere presenti e l’integrazione tra rete elettrica e gas non porterebbe alcuna sinergia industriale”.
Anche le Ferrovie dello stato sono in fibrillazione, comunque su Rfi (Rete ferroviaria italiana) la prospettiva è meno netta rispetto a quella di Snam. Le ultime bozze attribuiscono all’Autorità sui trasporti la decisione di portare Rfi sotto il diretto controllo del Tesoro, e non più sotto la gestione di Fs; una mediazione nata dopo una diatriba fra Catricalà e Passera, ha scritto il Sole 24 Ore. La posizione unanime del governo è questa: l’esecutivo opererà affinché nessun operatore diverso da Trenitalia sia discriminato nell’accesso alla rete.
Allora quand’è che la rete sarà scorporata dal gruppo pubblico? La questione è controversa. Passera nell’ultimo Consiglio europeo dei trasporti ha detto che l’Italia è favorevole a verificare l’impatto della separazione, ma ha osservato che la maggioranza degli stati è contraria. Ntv di Luca Cordero di Montezemolo, in un dossier pubblicato sul sito dell’azienda, sostiene il modello inglese che “mostra i benefici dello scorporo”. Opposta l’opinione del capo azienda di Fs, Mauro Moretti: “L’Italia ha già aperto il suo mercato del trasporto ferroviario più di ogni altro paese europeo, solo la Germania ha fatto altrettanto”. Trenitalia e Ntv, scatenando le proteste dei sindacati, sono d’accordo su un’altra norma, quella che azzera l’obbligo per tutte le imprese ferroviarie di adottare un contratto di lavoro di settore.
Non sono ancora definiti nei dettagli la vigilanza e il nuovo schema tariffario delle concessionarie autostradali. Ieri il presidente di Atlantia, Fabio Cerchiai, ha detto che vanno mantenute “le regole stabilite nel contratto di concessione”. Più corposo il rapporto che l’Aiscat, l’associazione che riunisce le concessionarie, avrebbe preparato per il governo: “In nessun paese al mondo l’Autorità si occupa anche delle autostrade. La modifica dei contratti non renderebbe più finanziabili i piani degli investimenti”.
Nelle ultime bozze del decreto sulle liberalizzazioni, soltanto un colosso pubblico non è intaccato: Poste. Semplice dimenticanza? Di sicuro, nonostante i suggerimenti dell’Antitrust e gli auspici dei terzopolisti montiani, il governo non ha mai pensato né a una separazione del Bancoposta né a una privatizzazione dell’azienda. Ma, almeno fino a ieri pomeriggio, neppure le rimostranze dei privati attivi nei servizi postali hanno convinto l’esecutivo a prevedere una più chiara liberalizzazione del settore. Nella nota riservata spedita al governo, il gruppo Tnt auspica tra l’altro che l’Italia si allinei a Germania, Olanda, Austria, Belgio, Finlandia e Regno Unito che hanno escluso dal servizio universale la posta business. Su Twitter, l’ad di Tnt Post Italia, Luca Palermo, ieri sera ha scritto: “Sarà battaglia a tutto campo, basta rendite di posizione”.
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