Calci paralleli
Il Re e il panchinaro
Nessuno come lui: 211 reti con la stessa maglia, quella della Roma. A Francesco Totti non l'hanno cucita addosso, è nato così. Tutto all'interno della Roma e di Roma. La doppietta contro il Cesena è servita per superare il Gunnar Nordahl del Milan e per confermarsi il più forte attaccante in attività. E se Totti è nuovamente il Re Sole della Roma, opposto appare il destino di un altro numero 10. Del Piero alla Juventus sarà il capitano per i tifosi ma è uno come gli altri per Antonio Conte.
Nessuno come lui: 211 reti con la stessa maglia, quella della Roma. A Francesco Totti non l'hanno cucita addosso, è nato così. Tutto all'interno della Roma e di Roma. La doppietta contro il Cesena è servita per superare il Gunnar Nordahl del Milan e per confermarsi il più forte attaccante in attività. Silvio Piola, con 274 gol, è lontanissimo ma Giuseppe Meazza e José Altafini sono distanti cinque reti soltanto. E ora che Totti ci ha ripreso gusto (quattro reti nelle ultime due partite), il passo è breve. Eppure il capitano e la sua squadra sembravano allontanarsi inesorabilmente nel ventesimo anno di convivenza in serie A: il progetto americano, le parole estive del plenipotenziario Franco Baldini ("E' pigro"), il dettato tattico di Luis Enrique. Tutto congiurava a considerare Totti un estraneo, compreso un contratto in scadenza nel 2014 – quando gli anni saranno 38 – firmato con Rosella Sensi. La Roma del nuovo corso era assetata di corsa, dedizione e gioventù, che farsene di un campione che sembrava non aver più niente da proporre? Ma la forza di Totti è sempre stata quella di nascondere una forte determinazione dietro l'apparente indolenza. Quella che gli ha fatto superare con il lavoro gli infortuni più seri e con la professionalità gli allenatori pronti a metterlo in un angolo, da Carlos Bianchi e Luis Enrique. Così ha digerito senza polemiche aperte panchine e cambi in corsa. Il resto l'ha fatto capire sul campo e nello spogliatoio, fino a quando il tecnico asturiano ha compreso che i giovani possono sì andar bene, ma occorre sempre un campione per svezzarli. Come accadde al piccolo Rivera nel Milan di Schiaffino.
E se Totti è nuovamente il Re Sole della Roma, opposto appare il destino di un altro numero 10. Alex Del Piero e il giallorosso hanno molto in comune, al di là della maglia: una storia di fedeltà alla causa (quella del bianconero data 1993), l'esperienza mai pienamente convincente in azzurro ma capace di portare a un Mondiale nel 2006, la popolarità tra i ragazzini che sognano con il calcio, persino la capacità di bucare lo schermo come testimonial. Il problema per Del Piero – che 38 anni li compirà già a novembre – sono l'oggi e il domani. Lui alla Juventus sarà il capitano per i tifosi ma è uno come gli altri per Antonio Conte, nonostante il lungo cammino insieme sul campo. Tre sole partite da titolare e qualche spezzone, senza neppure la soddisfazione di un gol. Un mobbing implicito su cui, per il futuro, è calata anche la mannaia padronale, quando Andrea Agnelli annunciava ai soci a ottobre che questa sarebbe stata l'ultima annata juventina del capitano. Adoperando una sottile perfidia che emendava lo spiazzamento subìto quando Del Piero annunciò di essere pronto a firmare in bianco, senza aver avvisato prima la società. E lo juventino si è così trasformato in un monumento seduto, perennemente costretto a guardare gli altri in campo. Questo proprio mentre altri monumenti scendono dal piedistallo per tornare protagonisti: il 37enne Paul Scholes con lo United e il 34enne Thierry Henry con l'Arsenal, dopo l'esilio dorato negli States. Il luogo dove Del Piero potrebbe andare a consumare il proprio crepuscolo calcistico mentre Totti continuerà a giocare, e a segnare, in Italia. E, forse, con l'Italia: Cesare Prandelli non chiude le porte a nessuno, figurarsi al talento.
Il Foglio sportivo - in corpore sano