Non siamo gli americani

Embargo petrolifero Ue spietato contro l'Iran, ma ci sono troppi buchi

Daniele Raineri

L’Unione europea dichiara guerra economica spietata all’Iran. Però non adesso: tutto parte fra sei mesi, forse. E a rimetterci – più del governo di Teheran – potrebbero essere alcuni piccoli tra gli europei (cioè anche noi). Ieri i ministri degli Esteri dell’Ue riuniti a Bruxelles hanno annunciato il blocco immediato ai nuovi contratti di importazione, acquisto e trasporto di greggio dall’Iran, il congelamento dei beni della Banca centrale di Teheran in Europa e il divieto di commercio di oro e argento.

    L’Unione europea dichiara guerra economica spietata all’Iran. Però non adesso: tutto parte fra sei mesi, forse. E a rimetterci – più del governo di Teheran – potrebbero essere alcuni piccoli tra gli europei (cioè anche noi). Ieri i ministri degli Esteri dell’Ue riuniti a Bruxelles hanno annunciato il blocco immediato ai nuovi contratti di importazione, acquisto e trasporto di greggio dall’Iran, il congelamento dei beni della Banca centrale di Teheran in Europa e il divieto di commercio di oro e argento. In questo modo l’Europa si avvicina alle sanzioni durissime decise da Washington tre settimane fa per colpire il settore petrolifero del governo iraniano – la sua maggiore fonte d’incasso – e obbligarlo a tornare a negoziare sul programma nucleare. Un diplomatico europeo dice a Reuters: “Vogliamo che loro comprendano che noi stiamo facendo sul serio”.

    Potrebbero non comprendere, perché l’effetto è incerto sui contratti ricchissimi già in corso, che fanno dell’Unione europea il secondo importatore di greggio iraniano subito dopo la Cina e prima dell’India. Le sanzioni chiedono la rescissione dei contratti entro il primo giorno di luglio. “Il prezzo del petrolio si è già alzato (per effetto dell’annuncio, ndr) – nota Christopher Bellew, trader per la banca d’investimenti Jefferies Bache – ma le sanzioni potrebbero non entrare in vigore mai. Soltanto il cielo sa che cosa succederà tra oggi e luglio”. Michael Hewson, analista per Cmc Markets, dice che è ancora da capire come Italia, Grecia e Spagna, in lotta disperata contro la crisi economica, riusciranno a fare a meno di quel greggio. Secondo i dati dell’Ue, l’Italia, che in queste ore è bloccata per colpa del caro carburante, ne importa il 13 per cento dall’Iran; per la Grecia è il 34 per cento; per la Spagna il 15. Ad Atene non sanno se troveranno qualcun altro disposto a concedere loro condizioni altrettanto vantaggiose, come il pagamento differito di sessanta giorni dall’arrivo del carico e la facoltà di non dare garanzie finanziarie.

    Per questo i greci hanno negoziato fino all’ultimo, una volta chiedendo nove mesi – e non sei – prima dell’entrata in vigore e poi un tagliando alle sanzioni da fare il primo maggio, due mesi in anticipo sulla scadenza di luglio, per verificare che i paesi più esposti abbiano davvero fonti alternative di rifornimento. In questo modo la Grecia, e gli altri deboli, come noi, potranno appellarsi contro le sanzioni. Eni, l’impresa più importante nel settore energia per l’Italia, ha un paio di contratti con il meccanismo “buy back” in esaurimento e resta fuori.

    Il sacrificio per mettere sotto pressione Teheran non è uguale per tutti: Germania e Gran Bretagna importano soltanto l’un per cento del loro fabbisogno di greggio dall’Iran. E ieri il Wall Street Journal aveva uno scoop in terza pagina: alcuni funzionari inglesi e dell’Ue hanno convinto membri del Congresso americano a tenere fuori  Shah Deniz II dalle sanzioni decise dall’America. E’ un progetto di gasdotto da venti miliardi di dollari che è guidato dall’inglese Bp ma è partecipato al 10 per cento dagli iraniani e per questo, in teoria, dovrebbe rientrare nell’embargo.
    Più che i tentativi dall’interno di sfilarsi dal fronte delle sanzioni contro l’Iran, conta chi ha scelto di non aderire affatto. Ieri il ministro indiano del Petrolio, S. Jaipal Reddy, ha detto che “l’India vuole prendere quanto più greggio iraniano è possibile, perché le condizioni sono favorevoli”. “Rispettiamo le sanzioni delle Nazioni Unite ma non seguiamo sanzioni imposte da blocchi regionali o da certe nazioni. Facciamo il nostro interesse – sottolinea  Reddy –  Teheran è al secondo posto nella lista dei nostri fornitori, ne abbiamo bisogno”. La settimana scorsa una delegazione di Nuova Delhi ha trattato con gli iraniani sulle opzioni di pagamento, da farsi in rupie, su sportelli aperti apposta tra i due paesi per aggirare le sanzioni americane. Il tempo a disposizione degli indiani per pagare è di novanta giorni, il più attraente sul mercato internazionale del greggio.

    Per gli altri acquirenti d’Asia vale lo stesso. Il mondo a oriente dell’Iran assorbe le sanzioni decise a occidente. La Cina le ha respinte e continuerà a comprare 550 mila barili al giorno. E’ il fallimento della missione del segretario americano al Tesoro, Timothy Geithner, volato a Pechino per convincere i cinesi due settimane fa. La Corea del sud, altro acquirente decisivo, temporeggia. “Non abbiamo deciso nulla sul taglio delle importazioni di petrolio dall’Iran”, dice il ministro dell’Economia, Hong Suk-woo, a Reuters, ma starebbe premendo per essere esentata dall’America. Il Giappone aderisce alle sanzioni, ma soltanto in linea di principio: “Abbiamo chiesto agli americani di essere flessibili e di considerarci per un’esenzione”, dice il ministro dell’Economia Yukio Edano. Dopo il disastro di Fukushima, Tokyo si sente ancora troppo debole per impegnarsi.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)