I giudici stabiliranno le colpe ma il tempo farà di Schettino un mito
Tutt’altro che galantuomo il tempo è un brigante matricolato, uno spudorato contraffattore, un baro che si diverte a cambiare le carte in tavola e a fare un pot-pourri con quelli che furono i sentimenti, gli odi e gli amori, le verità e le menzogne.
Leggi Il destino di un capitano di Carlo Panella - Leggi Il circo mediatico giudiziario applicato al naufragio di Giuliano Ferrara
Tutt’altro che galantuomo il tempo è un brigante matricolato, uno spudorato contraffattore, un baro che si diverte a cambiare le carte in tavola e a fare un pot-pourri con quelli che furono i sentimenti, gli odi e gli amori, le verità e le menzogne.
Il sangue dei morti è subito lavato mentre si stagliano i nomi dei birbanti, le cui leggende si cementano in scurrili e tediosi luoghi comuni più forti di ogni verità. Li si rimpiange; gloriosamente immortale se la ride Napoleone che massacrò mezza Europa e non passa giorno che Hitler non faccia capolino su qualche giornale solo perché un altro cretino in cerca di gloria afferma d’averlo visto passeggiare clonato per le vie di Buenos Aires, magari in compagnia del suo amico Stalin, di cui ogni quindici giorni un idiota tenta la resurrezione. Dei grandi mascalzoni tutto attira, soprattutto la mascalzonaggine, che ispira: nel geniale film di Lubitsch, “Vogliamo vivere!”, Hitler e i suoi generali risultano simpaticissimi; nelle sale cinematografiche dei primi anni Quaranta si rideva di loro e con loro mentre si correva nei rifugi per scampare alle bombe degli Stukas.
Che razza di diavoleria è mai questa!? Non i due mesi di cui si lamenta Amleto, nemmeno un secondo si aspetta per trescare con il proprio assassino! Davvero vogliamo vivere, anche all’inferno; e non si butta niente, neanche se si tratta del proprio carnefice. Carnefice che a sua volta non può trattenersi dal ridere in un cupissimo processo staliniano davanti a un imputato cui, mentre si costringe a confessare colpe inesistenti, cadono i pantaloni senza cintura. Che vi sia qualcosa d’irresistibile dice dell’esistenza di Dio.
Se perfino i mostri fanno ridere, figurarsi i coglioni; a un grandioso livello d’imbecillità anch’essi raggiungono il regno degli immortali. I giudici stabiliranno le colpe e le pene per il naufragio della Concordia, ma fin da ora e nei secoli futuri quando si vorrà additare un Fantozzi degli abissi – altro che Lord Jim! – o, più genericamente, un fantozzismo a tal punto abissale da sfociare nel tragico, lo si chiamerà “Capitan Schettino”. E tutti a sghignazzare. Un sarcasmo tuttavia temperato da una certa simpatia: la parte più losca nella sciagurata vicenda è destinata alla Compagnia della buona morte, alla gelida e rapace cricca capitalista angloamericana; viceversa al nostro marinaio si attribuiscono i tratti dell’italiano da esportazione: vile, irresponsabile, incompetente, bugiardo ma anche solare e contento di vivere, qualità che lo tengono lontano dal bieco calcolo economico, considerata dalle anime belle la causa prima se non unica dei mali del mondo.
Col tempo le cose potrebbero mettersi ancora meglio: il faccione disarmato del comandante inviterà a un ambiguo romanticismo da cartoon che ha trovato il suo apice nel cavalleresco Porco Rosso, l’eroe del grande Hayao Miyazaki. Non pervenendo a quei livelli, Capitan Schettino sarà tuttavia il nocchiere amalfitano che per i begli occhi di una moldava sirena si lanciò sugli scogli; sarà colui che in servile obbedienza – in odio? – alla Costa Crociere divelse la costa dell’Isola del Giglio. Eccolo lì, sempre lui, emulo della gioventù bruciata da Nicholas Ray sul ciglio del burrone; si dirà che voleva fare il contropelo al suo vecchio maestro d’inchini, e qui torniamo al Giappone di Miyazaki, stavolta alla “Principessa Mononoke”.
Insomma, per un verso o per l’altro il nome “Capitan Schettino” vivrà nei secoli sulla bocca di tutti, sicura risorsa per chi a un certo punto della giornata vorrà dire la sua. All’altro protagonista della tragica storia, il fatale scoglio, sarà riservata la gloriosa sorte riservata ai vincitori, esposto in un museo del crimine o riverito nel parco di qualche magnate cosacco. Infinite leggende sul filo della verità e a strapiombo della menzogna fioriranno intorno allo scoglio e all’uomo che osò strapparlo dal fondo marino; il capitano rimpiangerà soltanto di non essere annegato insieme alla sua nave, il mito ne avrebbe guadagnato e lui goduto. E’ seccante sopravvivere al proprio desiderio, soprattutto quando è di morte.
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