“No al modello Marchionne”. Perché alla sinistra non piace il decreto Monti

Claudio Cerasa

Tra le tante ragioni per cui il Partito democratico in queste ore ha mostrato qualche perplessità nei confronti del decreto sulle liberalizzazioni ce n’è una legata a un capitolo preciso del testo votato cinque giorni fa in consiglio dei ministri dal governo Monti. Il capitolo si trova al punto “I” della sezione “Taxi, strade e contratti ferroviari”, ed è un capitolo che il Pd chiede di rivedere con urgenza.

    Tra le tante ragioni per cui il Partito democratico in queste ore ha mostrato qualche perplessità nei confronti del decreto sulle liberalizzazioni ce n’è una legata a un capitolo preciso del testo votato cinque giorni fa in consiglio dei ministri dal governo Monti. Il capitolo si trova al punto “I” della sezione “Taxi, strade e contratti ferroviari”, ed è un capitolo che il Pd chiede di rivedere con urgenza non perché su questo punto il governo è stato troppo timido (come invece il Pd sostiene sia stato su molti punti presenti nel decreto, sulla linea “si stava meglio quando liberalizzava Bersani”) ma perché su questo tema il governo, per il Pd, ha fatto invece decisamente troppo. Il paragrafo contestato dal Pd è questo.

    Eliminazione dell’obbligo di applicare i contratti collettivi di settore nel trasporto ferroviario – Viene eliminato l’obbligo, per le imprese ferroviarie e per le associazioni internazionali di imprese ferroviarie che espletano servizi di trasporto sull’infrastruttura ferroviaria nazionale, di osservare i contratti collettivi nazionali di settore, anche con riferimento alle prescrizioni in materia di condizioni di lavoro del personale. Resta ferma invece l’osservanza della legislazione nazionale e regionale.

    In sostanza significa che nel settore delle ferrovie sarà consentito non applicare i contratti collettivi nazionali di lavoro esattamente come succede ormai da qualche mese nel mondo della Fabbrica Italia di Fiat.  Già sentita questa formula? Eh già. La formula l’avete sentita quando qualche mese fa il precedente governo inserì all’interno della manovra (quella di settembre) un passaggio in cui si cercava di tradurre in legge quello che aveva già fatto qualche mese prima Marchionne con la Fiat a Pomigliano. Era il famoso e contestatissimo e criticatissimo articolo 8, ricordate?

    “La nuova normativa stabilisce che i contratti collettivi nazionali possono essere derogati da contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti compreso l' accordo interconfederale del 28 giugno 2011”.

    La norma inserita invece all’interno del decreto Monti dice più o meno la stessa cosa anche se delimita il perimetro dell’applicazione della norma al solo mondo delle ferrovie. E allora, sì, il perimetro è più stretto, certo, ma a differenza di qualche mese fa oggi, su molti giornaloni, le voci critiche contro quella che all’epoca venne definita una intollerabile “minaccia contro i lavoratorisi sono improvvisamente volatilizzate per lasciare il posto ai grandi elogi dedicati al coraggio di mister Monti e alla sua rivoluzionaria fase due.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.