Se la benzina italiana è più cara, lo zampino statale c'entra eccome

Carlo Stagnaro

A Chiasso, subito oltreconfine, un litro di benzina costava ieri 1,484 euro. A Como, subito al di qua della linea immateriale eppure molto concreta che divide l’Italia dalla Svizzera, lo stesso litro della stessa benzina costava 1,711 euro. La differenza dipende, in larga misura, dal diverso trattamento fiscale. L’accisa elvetica, infatti, ammonta a “solo” 61,6 centesimi, contro i 70,4 centesimi italiani, a cui si applica l’Iva al 21 per cento, senza contare le varie addizionali regionali. I tributi, che ammontano a più del 60 per cento del prezzo alla pompa, sono il vero “driver” degli aumenti osservati negli ultimi mesi.

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    A Chiasso, subito oltreconfine, un litro di benzina costava ieri 1,484 euro. A Como, subito al di qua della linea immateriale eppure molto concreta che divide l’Italia dalla Svizzera, lo stesso litro della stessa benzina costava 1,711 euro. La differenza dipende, in larga misura, dal diverso trattamento fiscale. L’accisa elvetica, infatti, ammonta a “solo” 61,6 centesimi, contro i 70,4 centesimi italiani, a cui si applica l’Iva al 21 per cento, senza contare le varie addizionali regionali. I tributi, che ammontano a più del 60 per cento del prezzo alla pompa, sono il vero “driver” degli aumenti osservati negli ultimi mesi. A pesare non è solo il maxi-rincaro contenuto nel decreto “salva Italia” (più di 8 centesimi sulla benzina e 11 sul gasolio), ma anche le continue revisioni al rialzo nel corso del 2011, che messi assieme fanno circa 6 centesimi al litro (più Iva). I livelli di pressione fiscale raggiunti, vale a dire 85,2 centesimi per la verde e 71,8 centesimi sul diesel al lordo dell’imposta sul valore aggiunto, ci collocano ai primi posti in Europa. Pure volgendo lo sguardo verso gli altri stati membri dell’Ue – che a differenza della Svizzera hanno i medesimi obblighi di armonizzazione sulla tassazione dei carburanti al di sopra di livelli minimi comuni – peggio di noi stanno solo gli olandesi (73,6 centesimi). I cittadini dei Paesi Bassi, però, hanno un reddito molto più alto. Nella sostanza, dunque, noi paghiamo più tasse pur guadagnando meno, ed essendo costretti a guidare per l’assenza di alternative reali.

    E’ davvero singolare, allora, che la polemica sul caro-pieno si concentri sempre e solo sul “prezzo industriale”, cioè il prezzo al netto delle tasse su cui peraltro incombe la solita Iva, che rappresenta solo una porzione minoritaria di quello che paghiamo. Ciò non significa che una maggiore competizione non possa produrre efficienza e dunque, anche in questo caso, riduzioni dei prezzi. Anzi, lo “stacco” tra i prezzi italiani ed europei, sempre al netto delle tasse, sta attorno ai 4 centesimi, gran parte dei quali dipendono proprio dalla scarsa modernizzazione delle reti distributive, caratterizzate da una eccessiva capillarità degli impianti con un erogato medio troppo basso e poco o nessun reddito dalla vendita di altri prodotti. L’intervento del governo nell’ultimo decreto può aiutare a superare alcuni di questi problemi, nella parte in cui rimuove i residui ostacoli all'organizzazione dei punti vendita consentendo la vendita, oltre agli altri prodotti non oil, di tabacchi e giornali. Ma, nella sostanza, gli ostacoli stanno nelle norme regionali che aumentano gli attriti e impediscono ai nuovi entranti di fare la propria offerta, per esempio laddove impongono l’installazione di pompe per i carburanti eco-compatibili (Gpl, metano e idrogeno). Uno studio dell’Istituto Bruno Leoni, che ha monitorato i prezzi nei supermercati Conad e negli impianti circostanti nel primo semestre 2010, ha in effetti trovato conferma del fatto che, quando il gioco viene perturbato, i consumatori hanno solo da guadagnarci.

    Tutto ciò, comunque, non toglie il punto fondamentale: un governo che estrae dal portafoglio degli automobilisti una parte cospicua del suo gettito fiscale (34 miliardi nel 2009) e che insiste nell’incrementare questa leva, è poco credibile nel momento in cui si lamenta del comportamento degli operatori privati, i quali tra l’altro stanno attraversando un periodo di profonda crisi. La pagliuzza concorrenziale va rimossa, ma non scusa la trave fiscale.

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