Senza politica

La larga coalizione c'è, ma solo sull'euromozione. Pdl diviso sulle elezioni

Salvatore Merlo

“Se nomino Monti, vedrai che finirà con l’innescarsi una spirale virtuosa anche nel rapporto tra i partiti”. Così Giorgio Napolitano, appena due mesi fa, confortava se stesso e il suo interlocutore, un vecchio amico che condivideva con il presidente la preoccupazione e la speranza per la delicata fase che di lì a poco avrebbe portato alle dimissioni di Silvio Berlusconi.

    “Se nomino Monti, vedrai che finirà con l’innescarsi una spirale virtuosa anche nel rapporto tra i partiti”. Così Giorgio Napolitano, appena due mesi fa, confortava se stesso e il suo interlocutore, un vecchio amico che condivideva con il presidente la preoccupazione e la speranza per la delicata fase che di lì a poco avrebbe portato alle dimissioni di Silvio Berlusconi. Sicché l’approvazione sia alla Camera sia al Senato, di una mozione unitaria sulla politica europea siglata dal Pdl, dal Pd e dall’Udc, a Napolitano, ma anche a Mario Monti (“è un passo significativo”), dev’essere suonata come il preludio di quella “coalizione larga”, effetto della nuova “spirale virtuosa” favorita dal governo dei tecnici, che in Parlamento più di tutti fa sospirare il vicesegretario del Pd Enrico Letta (“ora le riforme condivise”) e il capo dell’Udc Pier Ferdinando Casini. Ma che incontra pure resistenze e tentennamenti nel Pd e nel Pdl.

    Soprattutto nel Pdl, le cui difficoltà e i cui tormenti risaltavano nello sguardo provato, ma soddisfatto, di Angelino Alfano. Il segretario da settimane mantiene i contatti con Bersani, con Casini, con il Quirinale e con Monti esercitandosi in un costante sforzo di equilibrio fra il distratto scetticismo di Berlusconi e un partito, il suo Pdl, la cui classe dirigente è divisa verticalmente e senza troppe sfumature tra quanti vorrebbero le elezioni anticipate a giugno e quanti, al contrario, ritengono necessaria una partecipazione più convinta all’interno della maggioranza tripartita (con Pd e Udc) a sostegno del governo. Denis Verdini, Paolo Romani, Altero Matteoli, Ignazio La Russa, Daniela Santanchè, Renato Brunetta, pur con diverse gradazioni, si iscrivono tutti alla squadra di quelli che “bisogna andare alle elezioni anticipate” perché, come ha spiegato Matteoli a Berlusconi: “Ogni settimana che passa i sondaggi vanno peggio” e il Pdl si avvicina alla pericolosa soglia psicologica del 20 per cento. Il Cavaliere, occupato con il processo Mills e avvolto anche dalle note questioni che riguardano Mediaset, sa solo, per il momento, di non avere troppa scelta. Ma non gli si chieda di essere contento. La ricetta Monti funziona? “Non credo ci sia nessuno che possa dirlo”.

    Il Quirinale auspica le riforme, a partire da quella elettorale e intravede la possibilità di una spirale “virtuosa” nel rapporto tra i partiti; Pier Ferdinando Casini ha scommesso tutto sull’operazione del governo tecnico; Mario Monti, neanche troppo segretamente, vagheggia un rimpasto di governo che allarghi (e rafforzi) la squadra ad alcuni elementi politici (sin dall’inizio avrebbe voluto accanto a sé Gianni Letta e Giuliano Amato). Ma quando a Silvio Berlusconi viene chiesto dei possibili sviluppi nei rapporti tra le forze politiche, il Cavaliere dà una risposta inequivocabile, che riflette le sue perplessità, gli umori del suo partito e quelli, nerissimi, dell’alleato Umberto Bossi: “Non parlo di politica, perché siamo in un momento in cui la politica non c’è”. L’insondabilità del Cavaliere, nei suoi colloqui privati, viene tradotta così dal capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto: “Non esiste una strategia, non ce l’ha nessuno. Elezioni? Riforme? Grande coalizione? Non si può prevedere cosa accadrà tra un minuto, figuriamoci tra un mese”.

    L’impressione è che Berlusconi abbia deciso di restare perfettamente in surplace, sospeso, immobile, malgrado gli sforzi di persuasione nei suoi confronti da parte di Monti, del Quirinale e di un segmento consistente del Pdl, siano fortissimi. D’altra parte Monti ha in più occasioni sottolineato gli elementi di continuità tra la sua politica e quella del governo precedente, passaggi contenuti persino nella mozione unitaria (votata anche dal Pd e dall’Udc) e che correggono la valutazione fin qui prevalente (e negativa) dell’operato del governo Berlusconi. La mozione contiene, tra gli altri, due passaggi suggeriti dal Pdl e fatti propri dal Pd e dall’Udc: una sostanziale condanna del meccanismo delle agenzie di rating e l’auspicio che si possa costruire in Europa un processo di natura politica che premi il ruolo della Bce.

    “Con questa mozione unitaria abbiamo trovato un metodo che può funzionare, e che ha delle prospettive interessanti per il centrodestra. Si è messo in moto un meccanismo. Le cose non resteranno come sono, e noi siamo in grado di essere determinanti”, dice l’ex sottosegretario berlusconiano Andrea Augello. Nel Pdl non sono pochi quelli che vorrebbero uscire definitivamente dalla condizione di ambiguità nei rapporti con il governo tecnico. La pensano così Raffaele Fitto, Gianni Alemanno, Franco Frattini, Gaetano Quagliariello, Fabrizio Cicchitto e Mariastella Gelmini, che dice: “In Parlamento siamo gli azionisti di maggioranza del governo. Dovremmo fare valere la nostra quota azionaria senza timidezza”. Se non altro perché l’alternativa non esiste: provocare le elezioni anticipate sarebbe “un disastro”, farebbe precipitare sul Pdl l’accusa di essere il partito della sfascio mentre, al contrario, “possiamo approfittare di questa situazione e condizionare il governo”, dice Quagliariello.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.