Meglio la pièce di Castellucci di certe banalità sul Galilei e la chiesa

Antonio Gurrado

Della reazione cattolica contro “Sul concetto di volto nel Figlio di Dio”, la pièce di Romeo Castellucci ora in scena al “Franco Parenti” di Milano, hanno colpito i più evidenti errori di calcolo: da tempo lo spettacolo era in cartellone in Francia e troppo a lungo è parso che l’oggetto del contendere fosse il lancio di escrementi o bombe a mano – non incluso nella versione italiana – contro la gigantografia del “Salvator mundi” di Antonello da Messina.

    Della reazione cattolica contro “Sul concetto di volto nel Figlio di Dio”, la pièce di Romeo Castellucci ora in scena al “Franco Parenti” di Milano, hanno colpito i più evidenti errori di calcolo: da tempo lo spettacolo era in cartellone in Francia e troppo a lungo è parso che l’oggetto del contendere fosse il lancio di escrementi o bombe a mano – non incluso nella versione italiana – contro la gigantografia del “Salvator mundi” di Antonello da Messina. I contestatori hanno ingenuamente porto il fianco alle facili accuse di intolleranza, pregiudizio e censurolatria. E’ passata sotto silenzio la sproporzione della protesta, la scelta di concentrarsi su quest’unico spettacolo, che ha dato l’impressione di un’opinione cattolica poco adusa alla quotidianità culturale e pronta a risvegliarsi solo in caso di evento macroscopico, come fu nel caso della rana crocifissa di Martin Kippenberger o dell’uscita del film “Il Codice da Vinci” (ma, curiosamente, non del romanzo). L’evento di macroscopica blasfemia è per definizione evidente ai più e quindi non necessita di un’operazione di risveglio delle coscienze; protestare rumorosamente significa ammettere di non credere che dentro ogni uomo aliti una fiammella di coscienza capace di ispirare la repulsione, quando è il caso.

    Soprattutto, dedicare tutte le attenzioni all’evento macroscopico è come tentare di chiudere la stalla solo dopo che tutti i buoi più piccoli sono scappati. Da un anno, per esempio, Marco Paolini porta in giro per l’Italia un monologo (molto ben fatto, molto documentato, molto coinvolgente) in cui racconta la vita di Galileo, auspicando che ogni giorno si dedichi un minuto alla rivoluzione, intesa non solo come moto della Terra attorno al Sole ma anche come capacità di cambiare idea. A un certo punto infatti, piuttosto sorprendentemente, Paolini descrive la scena di papa Urbano VIII che discute di astronomia con Galileo, da solo a solo per giorni interi. E’ una scena che ricalibra il luogo comune del pregiudizio antigalileiano della chiesa del tempo, tanto più quando emerge che nella discussione sulle maree aveva più ragione il Papa che Galileo; il pubblico di conseguenza trasecola e tende a restare freddino. Al che Paolini provvede a un’immediata trasposizione nella contemporaneità: “Ve lo vedete Ratzinger che discute con Margherita Hack?”.

    E’ una boutade. Ma gli spettatori, confortati nel luogo comune di una chiesa refrattaria, si producono in un applauso di vibrante protesta contro questi nostri giorni di oscurantismo, rimpiangendo di non essere nati nel luminoso Diciassettesimo secolo. Nessun militante cattolico si è sentito in dovere di obiettare quanto Benedetto XVI abbia invece cercato il dialogo con avversari vecchi e nuovi – ha ricevuto in Vaticano Hans Küng, tanto per dirne una – e che sotto il suo regno il Pontificio Consiglio della Cultura abbia istituito un apposito Cortile dei Gentili per il dialogo paritario e aperto fra credenti e non credenti. Se ci si impegna troppo contro la blasfemia rumorosa si finisce per far passare sotto silenzio un’asserzione leggera dagli effetti (volutamente o meno) più subdoli, in quanto si insinua sottopelle negli uomini dalla fede più tiepida e, a forza di applausi, li persuade ad accettare l’idée reçue di un Papa ostile ai tanti Galilei odierni. Alla fine il pubblico resta vittima della propria pigrizia, perché non vuole patire lo sforzo del famoso minuto di rivoluzione, ma anche della pigrizia di un’opinione cattolica. Per la quale, talvolta, non sembra valere la pena di lasciar perdere qualche grande polemica sterile e far sì che si cambi una piccola idea sbagliata.