Lotta nel Pdl di governo

Aria di separazione tra berlusconiani ed ex An nel Partito dei confusi

Salvatore Merlo

Angelino Alfano si è quasi alzato in piedi, tanto era il trasporto emotivo: “Sembriamo il partito dei confusi. Questo governo non lo si può criticare, e sostenere, allo stesso tempo. Dobbiamo starci dentro, convinti”. Durata fino all’una di notte, la cena di giovedì sera, evocativa dei diciott’anni della “discesa in campo”, tra fotografie e filmati d’amarcord, per Silvio Berlusconi e i gran gerarchi del Pdl è stato il momento dei lunghi discorsi. Come per “i reduci” cantati da Gaber, “ripartire da zero e occuparsi un momento di noi / affrontare la crisi, parlare, parlare e sfogarsi / e guardarsi di dentro per sapere chi sei”.

    Angelino Alfano si è quasi alzato in piedi, tanto era il trasporto emotivo: “Sembriamo il partito dei confusi. Questo governo non lo si può criticare, e sostenere, allo stesso tempo. Dobbiamo starci dentro, convinti”. Durata fino all’una di notte, la cena di giovedì sera, evocativa dei diciott’anni della “discesa in campo”, tra fotografie e filmati d’amarcord, per Silvio Berlusconi e i gran gerarchi del Pdl è stato il momento dei lunghi discorsi. Come per “i reduci” cantati da Gaber, “ripartire da zero e occuparsi un momento di noi / affrontare la crisi, parlare, parlare e sfogarsi / e guardarsi di dentro per sapere chi sei”. In una notte di ricordi e celebrazioni, la linea dura di Ignazio La Russa e Altero Matteoli, di Paolo Romani e Renato Brunetta, degli ex di An che soffiano nelle orecchie del capo la frase “elezioni anticipate”, è andata sconfitta; malgrado Berlusconi sia uomo di mutevoli umori, e dunque chissà come andrà davvero a finire. Sulle inclinazione del Cavaliere devono avere influito le novità che Alfano gli ha comunicato con la soddisfazione del buon diplomatico, o del costruttore di ponti e dedali sottomarini: la trattativa con Pier Luigi Bersani sulla riforma della legge elettorale è in stato avanzatissimo. Il modello, un po’ tedesco e un po’ spagnolo, rafforza i due partiti di maggioranza relativa, il Pd e il Pdl. Nelle parole del costituzionalista democratico Salvatore Vassallo, che ha contribuito a elaborare la bozza in discussione, “sovrarappresenta i grandi partiti (di almeno 5 punti), sottorappresenta lievemente i medi (di un punto), sottorappresenta molto o esclude i piccoli”. Inutile dirlo, ma lo schema non piace alla Lega di Umberto Bossi, e scombussola i piani di Pier Ferdinando Casini (che ieri deve aver captato qualcosa nell’aria, tanto che alcuni uomini a lui vicinissimi, come Roberto Rao, hanno cominciato a dire che “parlare troppo presto di legge elettorale destabilizza Monti, non lo aiuta”). Per il Pdl la trovata è ingegnosa: permette di scaricare la Lega senza troppo soffrire e che – soprattutto – evita al partitone berlusconiano (un po’ sbandato) di finire prigioniero nella tela già stesa dall’Udc.

    Berlusconi seduto al centro, su un lato del grande tavolo rettangolare nella sala di rappresentanza di Palazzo Grazioli. Nessun capotavola, ma una disposizione simbolica: Alfano alla sua destra, Gianni Letta alla sinistra, Maurizio Lupi accanto ad Alfano, Altero Matteoli accanto a Letta,  poi tutti gli altri: Maurizio Gasparri, Denis Verdini, Sandro Bondi, Maurizio Sacconi, Renato Brunetta, Anna Maria Bernini. Infine, anche Ignazio La Russa e Fabrizio Cicchitto. I due sono stati protagonisti, nel pomeriggio, di una mezza litigata la cui eco ritorna anche a casa del Cavaliere. La Russa era arrivato a minacciare un suo gruppo parlamentare autonomo; e quando a via del Plebiscito il mite Sandro Bondi prende la parola per dire che “così regaliamo il governo alla sinistra”, è anche all’ex colonnello finiano che intende riferirsi: “Immaginare una mozione di sfiducia al governo significherebbe sfasciare il partito e forse anche l’Italia”. A quel punto interviene Cicchitto: “Tenere il gruppo è già dura”. A unirli ci sono i ricordi, ma si fanno evanescenti; a dividerli ci sono molti rimpianti, alcune recriminazioni. “Grilli, Fortunato e Canzio hanno trovato per Monti quei soldi che a noi invece negavano”, ha detto Matteoli, ex ministro delle Infrastrutture, riaprendo il pesante volume della tremonteide: “C’era qualcuno che da dentro il governo lavorava contro di noi”. Ma il grande rimosso, che agita i pensieri di Berlusconi, è il legame con gli uomini di An strappati a Gianfranco Fini. “Funesto fu il predellino. Non avremmo mai dovuto metterci con quelli”, pensa Giancarlo Galan. E si elencano gli errori, quello fondativo di piazza San Babila, quando il Cavaliere si sporse dalla sua auto tedesca; e poi la litigata esiziale con Fini, la separazione cruenta (“perché dovevamo scegliere tra lui e La Russa”). E adesso la dibattuta linea della rottura con Monti. “Nel momento in cui ci siamo messi in casa An, An ci è esplosa nel salotto”. Così ieri più di qualcuno, nel Pdl, osservava con malcelato interesse un sondaggio che ha provocato sorrisi sornioni tra i deputati della ex FI. Il Pdl, senza An, si attesterebbe al 25 per cento dei consensi. “Se avessimo fatto una federazione con loro, la nostra sarebbe stata una somma algebrica positiva. Il partito unico è stata invece una somma negativa”, dice Sergio Pizzolante, deputato socialista. “Lo pensano tutti”, dice. Ancora i reduci di Gaber, dunque: “E tutto che saltava in aria / e c’era un senso di vittoria”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.