Tra regimi ci si aiuta

Il mistero del video dei cecchini iraniani fatti prigionieri in Siria

Daniele Raineri

Parlano in lingua farsi, quando indicano la data del giorno usano il calendario giusto, quello persiano prescritto dal sultano Jalal, hanno in mano tesserini iraniani. Giovedì sera è sembrato che fosse saltato il segreto del medio oriente meglio custodito negli ultimi dieci mesi – l’arrivo e la presenza di truppe dell’Iran in Siria per aiutare il governo di Damasco a reprimere con la violenza delle armi la ribellione.

    Parlano in lingua farsi, quando indicano la data del giorno usano il calendario giusto, quello persiano prescritto dal sultano Jalal, hanno in mano tesserini iraniani. Giovedì sera è sembrato che fosse saltato il segreto del medio oriente meglio custodito negli ultimi dieci mesi – l’arrivo e la presenza di truppe dell’Iran in Siria per aiutare il governo di Damasco a reprimere con la violenza delle armi la ribellione. Un video su Internet mostra cinque uomini che confessano di essere cecchini, appartenenti alle Guardie della rivoluzione, mandati in Siria con il compito di sparare nelle strade della città in rivolta di Homs, c’è pure un fucile di precisione Dragunov di fabbricazione russa appoggiato tra loro e senza caricatore al muro.

    Il giornalista Josh Shahryar provvede a una trascrizione veloce: “Io e la mia squadra siamo entrati in Siria, io a metà ottobre e gli altri in date diverse, abbiamo aiutato l’intelligence siriana a sopprimere i civili e a sparare contro di loro, ne abbiamo uccisi molti, compresi donne e bambini. Abbiamo ricevuto i nostri ordini direttamente dai servizi segreti dell’aviazione di Homs. La richiesta di agire è arrivata dall’ayatollah Khamenei”. Da Teheran l’agenzia Mehr risponde che i cinque non sono cecchini, ma sarebbero ingegneri iraniani rapiti nei paraggi di Homs a dicembre e ora costretti a una messinscena. Non è la prima volta che riappaiono: all’inizio di gennaio il settimanale francese Paris Match ha pubblicato una loro foto a doppia pagina nelle mani di uno di quei gruppi composti di volontari e di militari disertori che ora combattono una guerriglia esausta contro l’esercito regolare. Nel paginone i cinque erano indicati come “cecchini”. Ora il sito del Time dedica una pagina alla questione: sono cecchini o ingegneri?

    Fin dal primo mese di proteste c’è il sospetto che gli alleati del presidente Bashar el Assad in Libano e in Iran abbiano mandato uomini e soldati ad aiutare materialmente l’opera di repressione armata e durissima contro le manifestazioni – ieri ci sono stati quaranta morti. L’alleanza è forte per ragioni strategiche. Simul stabunt vel simul cadent, come dice il brocardo latino usato in diritto, assieme staranno in piedi e assieme cadranno. A Teheran vorrebbero che a Damasco non cambiasse nulla, e così la pensano anche nella zona sud di Beirut, capitale non ufficiale del movimento Hezbollah.

    Due settimane fa, Assad ha voluto ostentare confidenza con la situazione nella capitale, del resto è stato lui a vantarsi sul numero di Vogue America nel marzo scorso di girare per la capitale guidando da solo la propria auto, senza sicurezza, come un premier scandinavo; così si è offerto alla piazza centrale di Damasco colma di sostenitori per tre minuti. Il giornale panarabo Asharq al Awsat sostiene che molti di essi fossero libanesi fidati, uomini di Hezbollah, trasportati apposta a Damasco con torpedoni. I militari israeliani fanno notare che nei video della repressione girati nelle strade ci sono – a volte – uomini barbuti, e non possono che essere sciiti libanesi o iraniani, perché ai soldati regolari siriani è fatto divieto di farsi crescere la barba,  è una cosa che tradirebbe troppo fervore religioso e non sarebbe vista di buon occhio dal partito Baath.

    Il dettaglio interessante nel video è la confessione del legame tra iraniani e servizi segreti dell’aviazione, l’Idarat al-Mukhabarat al Jawiyya. In realtà nella struttura della repressione della Siria, composta da quattro direttorati, quello dell’aviazione è il più piccolo ma più potente. Il padre di Bashar, Hafez, da comandante delle forze aeree, aveva creato il servizio con i suoi uomini più fidati e il suo ruolo più che con l’aviazione ha a che fare con la repressione contro la Fratellanza musulmana. Gli agenti lavorano spesso nelle ambasciate e negli uffici all’estero della compagnia di bandiera siriana. Ora è sotto la guida del generale Jamil Hasan, di fede alawita, colpito dalle sanzioni americane ed europee per il ruolo brutale che ha nella repressione delle proteste (le sanzioni restringono viaggi e conti all’estero).

    Il suo interlocutore dall’Iran è Qassim Suleimani, il capo delle operazioni esterne dei pasdaran, il Keiser Söze del medio oriente – è la definizione datagli dagli americani, con riferimento al machiavellico cattivo impersonato da Kevin Spacey nel film “I soliti sospetti”. Suleimani sta facendo la spola tra Teheran e Damasco, dove si è recato anche questo mese, e per questo è finito anche lui – che è iraniano – nell’elenco delle persone colpite dalle sanzioni.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)