Grecia, sulla strada dell'austerità restano solo macerie

Dimitri Deliolanes

E’ un’odissea senza fine quella che attraversando la Grecia. Mentre si stanno per concludere i difficilissimi negoziati con le banche per l’haircut del debito (“entro mercoledì, altrimenti sarà troppo tardi”, ha avvisato il ministro delle Finanze, Evangelos Venizelos), il governo di Lucas Papademos si trova a affrontare altri guai, riscontrando ancora una volta la totale precarietà della politica di salvataggio portata avanti finora dalla troika. Il nuovo schiaffo incassato da Atene è stato duplice.

    E’ un’odissea senza fine quella che attraversando la Grecia. Mentre si stanno per concludere i difficilissimi negoziati con le banche per l’haircut del debito (“entro mercoledì, altrimenti sarà troppo tardi”, ha avvisato il ministro delle Finanze, Evangelos Venizelos), il governo di Lucas Papademos si trova a affrontare altri guai, riscontrando ancora una volta la totale precarietà della politica di salvataggio portata avanti finora dalla troika.

    Il nuovo schiaffo incassato da Atene è stato duplice. Da una parte la cancelliera Merkel che propone di commissariare la politica economica del paese, affinché i futuri introiti vengano immediatamente indirizzati a saldo del debito e non altrove (anche se le sue dichiarazioni da Bruxelles appaiono più morbide e meno ultimative, dopo che a definire "inaccettabile" la proposta tedesca è stato Jean-Claude Juncker, primo ministro del Lussemburgo e presidente dell'Eurogruppo). Dall’altra, la troika che ha presentato a Papademos un nuovo piano di austerità, da applicare subito, come condizione per l’apertura della nuova linea di credito decisa al vertice europeo di fine ottobre.

    I rappresentanti della Commissione Europea, della Bce e del FMI esigono due grandi privatizzazioni da realizzarsi entro il 2012. Non sono citate esplicitamente, ma tutti hanno compreso il riferimento alla possente società elettrica Dei e alle sue controllate nei Balcani e dentro il paese, nonché alle società farmaceutiche, veri gioielli dell’industria pubblica greca. Privatizzazioni peraltro già decise dal precedente governo Papandreou ma bloccata in Parlamento su pressione del sindacato e dell’allora opposizione di centrodestra.

    Accanto alle privatizzazioni, prosegue la troika, ci dovrà essere un nuovo consistente “alleggerimento” del settore pubblico, con una nuova ondata di licenziamenti, in numero non inferiore agli 80 mila, sia nell’amministrazione pubblica sia nelle società pubbliche.  In pratica la metà circa dei lavoratori nel parastato perderà il posto di lavoro.

    Ma l’elemento che ha gettato la Grecia in uno stato di prostrazione era l’insistenza dei creditori sulla politica di “svalutazione interna”. Per la troika, bisogna, in “tempi ravvicinati”, abrogare tutti i contratti nazionali del settore privato, abbassare lo stipendio base a 400  euro (ora supera di poco i 550), abolire tredicesime e quattordicesime mensilità, e ridurre fortemente le pensioni integrative. Lo scopo dichiarato della troika è rendere competitiva l’economia greca,  comprimendo il costo del lavoro ai livelli di Bulgaria e Romania,  non a caso esplicitamente citate nella lettera a Papademos. Lunedì l’Istituto Ellenico del Lavoro ha pubblicato una ricerca che dimostrava come dall’inizio del 2010 fino alla fine dell’anno scorso, il costo del lavoro nel settore privato era stato ridotto del 32,5% del suo valore nominale e dell’11,4% del suo valore reale. In condizioni di forte pressione fiscale, di un tasso d’inflazione superiore al 3,5% e di smantellamento degli ammortizzatori sociali, per gli autori della ricerca questa riduzione “ha effetti devastanti”.   

    Le nuove richieste dei creditori hanno fortemente destabilizzato un governo che già navigava in acque agitatissime.  Già la settimana scorsa il Pasok si era sfaldato nella votazione per le liberalizzazioni, con i deputati che ignoravano le indicazioni di Venizelos e votavano secondo coscienza. Ma anche gli altri due partiti della coalizione (Nuova Democrazia per il centrodestra e Laos per l’estrema destra) sono a disaggio nel proporre nuovi sacrifici in un paese con una recessione che a fine 2011 ha  toccato il 7%, con la disoccupazione galoppante e più di tre milioni di cittadini sotto la soglia della povertà (quella greca, non quella comunitaria).

    In una riunione convocata d’urgenza domenica sera con i leader dei tre partiti della coalizione governativa (Antonis Samaras per il centro destra, George Papandrou per i socialisti e Giorgos Karatzaferis per l’estrema destra), il premier greco ha messo a punto un documento di risposta alle richieste della troika. Per Atene, una nuova riduzione dei compensi nel settore privato non potrà mai passare in Parlamento e con ogni probabilità non troverà neanche un partito che la sostenga. Se si insiste su questa strada, fa capire il premier, il governo dovrà dimettersi e aprire la strada a nuove elezioni, dal risultato imprevedibile. Secondo i sondaggi, infatti, il nuovo governo sarà di coalizione e le spinte antieuropee sarano difficilmente contenute.

     Egualmente granitica è anche l’opposizione dei tre partiti a ogni forma di commissariamento della politica economica greca. “Chi la propone non conosce la storia”, ha dichiarato  Venizelos, con un evidente riferimento a quanto patito dal paese dall’occupazione nazista. Apertura invece sulle privatizzazioni, con l’assicurazione che almeno una andrà sicuramente in porto. Secondo gli osservatori, il governo vorrebbe tanto vendere le ferrovie, ma non trova acquirenti, quindi probabilmente sarà costretto a cedere i gioielli di famiglia a prezzi stracciati. Già i tre Airbus dell’Olympic Airlines che da tempo cercavano un’acquirente sono stati alla fine venduti a un sesto del loro valore nominale. 

    In Grecia cresce il malumore di chi (e specialmente dentro il Pasok) si chiede se valeva la pena di subire questa politica di austerità per incassare solo recessione e miseria. Lo stesso Host Reichenbach, ufficialmente capo della task force europea ad Atene, ufficiosamente  inviato permanente della Merkel presso il governo greco, aveva avvertito che “ulteriori sacrifici non sono sopportabili dalla società greca”.

    Ad Atene molti guardano verso le proposte neokeynesiane di Paul Krugman, Tim Worstall  e Joseph Stieglitz e sperano di poter convincere i tedeschi che questa è l’unica via d’uscita. Ma finora sono stati sistematicamente delusi. La troika sembra aver messo il pilota automatico, quello usato in Agrentina o in Ungheria, e va avanti per la sua strada. Con il rischio di trovare alla fine solo macerie.