Rottamazione 2.0

Claudio Cerasa

“Le elezioni? Se ci fossero state forse sarei stato davvero costretto a scendere in campo. Monti? E' uomo capace e di buon senso ma il liberale non si deve fare solo a metà. L'Euro? Si salva solo con più coraggio sulla Bce. Il Pd? Se oggi la politica è sospesa è anche colpa del centrosinistra. Il modello del Pse? Mi sembra il modo migliore per uccidere il nostro partito. Bersani candidato premier? Mi auguro che alle prossime elezioni il centrosinistra possa presentarsi facendo a meno dei vecchi volti della classe politica”.

    “Le elezioni? Se ci fossero state forse sarei stato davvero costretto a scendere in campo. Monti? E' uomo capace e di buon senso ma il liberale non si deve fare solo a metà. L'Euro? Si salva solo con più coraggio sulla Bce. Il Pd? Se oggi la politica è sospesa è anche colpa del centrosinistra. Il modello del Pse? Mi sembra il modo migliore per uccidere il nostro partito. Bersani candidato premier? Mi auguro che alle prossime elezioni il centrosinistra possa presentarsi facendo a meno dei vecchi volti della classe politica”. L'ultima volta che lo abbiamo visto all'opera Matteo Renzi era lì che si muoveva soddisfatto, euforico e spensierato sul palco fiorentino della sua fortunata due giorni leopoldina. Lo ricorderete: erano le ore del Big bang, delle cento proposte, della rottamazione, del ricambio generazionale, della rivoluzione liberale, della quasi candidatura, della quasi discesa in campo, della quasi opa sul centrosinistra: le ore del “eh allora Renzi che fa, ci prova o non ci prova, si lancia o non si lancia, si candida o non si candida?”. Tre mesi dopo tutto è improvvisamente cambiato e novanta giorni dopo i fuochi d'artificio della Woodstock renziana l'impressione (vera o falsa che sia) è che il carro armato del governo dei professori sia passato come un rullo compressore anche sopra il corpo del sindaco di Firenze. E così, in questa nuova fase della vita politica anche il semplice fatto che dal giorno dell'insediamento di Monti il primo cittadino del capoluogo toscano abbia scelto di limitare al massimo il numero delle sue uscite pubbliche (l'ultima intervista risale al primo di novembre) ha contribuito a incoraggiare il partito di quelli che “oh, io lo avevo sempre detto che Renzi sarebbe inciampato di fronte al primo ostacolo”. E allora: ma che fine ha fatto il sindaco? Che fine ha fatto il suo Big Bang? Che fine hanno fatto i ragazzi della Leopolda? Siamo andati un pomeriggio a Firenze e di questo, e di altro, abbiamo parlato per un po' con il sindaco rottamatore.

    “E' vero – dice Renzi – se a fine novembre,
    dopo la caduta del governo Berlusconi, fossero state convocate le elezioni, per come si erano messe le cose forse sarei stato costretto a scendere in campo. Ovvio: i miei antipatizzanti possono considerare quella come un'occasione persa. Ma vi assicuro che per me quella è stata solo un'occasione guadagnata. Ora c'è più tempo per ragionare. Più tempo per pensare ancora di più alla mia città. Più tempo per capire come sta cambiando la vita politica italiana. E poi guardate che Renzi non ha mica l'ansia da prestazione…”.
    Renzi fa una pausa, risponde al telefono, tira fuori dalla borsa un sacchetto di plastica con due panini con la mortadella e ricomincia a parlare. “Oggi il quadro politico è cambiato, e non è facile fare previsioni su quello che succederà nel futuro. Ma una cosa è certa: dire che il governo Monti ha congelato il nostro Big bang mi sembra, come dire, un tantino inesatto. Per esempio: mi chiedo chi è che prima che cadesse il precedente governo chiedeva di parlare meno di Bunga bunga e di concentrarsi più sulle cose serie, sulla riforma delle pensioni, la riforma del mercato del lavoro, le liberalizzazioni e la necessità di tagliare la spesa pubblica? Vedete: io sono lieto che il governo Monti stia realizzando una serie di quelle riforme di buon senso – non sono né di destra né di sinistra, sono solo di buon senso – di cui avevamo parlato anche noi due mesi e mezzo fa, a Firenze, con Luigi Zingales, Giorgio Gori e tutti gli altri. Ne sono lieto. Tiro un sospiro di sollievo. E mi rallegro che oggi persino il valorosissimo compagno Fassina (responsabile economico del Pd, ndr) stia capendo che queste idee non sono vecchi arnesi degli anni Ottanta, come aveva sostenuto dopo la Leopolda, o delle vecchie fesserie veteroblairiane”.

    Renzi, nel corso di questa chiacchierata, dimostra più volte di apprezzare lo spirito liberale che Monti ha scelto di adottare per guidare il suo esecutivo. Su alcuni punti, il sindaco rivendica una continuità con le idee della Leopolda (“Qualcuno mi ha detto che 41 delle cento proposte che abbiamo presentato sono nel programma di governo di Monti…”) ma su altri aspetti Renzi dice di avere ancora diverse perplessità.

    “Faccio fatica a considerare liberale fino in fondo un governo che costruisce una manovra senza toccare la spesa pubblica e puntando all'85 per cento sulle tasse; che per risolvere il problema delle licenze dei tassisti si affida all'ennesima e inutile authority; che non ha avuto il coraggio di abolire il valore legale del titolo di studio; e che non ha ancora messo in agenda un serio piano di dismissioni pubbliche”. Renzi si interrompe e dà un'occhiata alle agenzie. E' lunedì, sono le ore in cui Monti a Bruxelles sta per mettere la sua firma in calce al famoso fiscal compact e il sindaco rottamatore ammette di essere orgoglioso del modo in cui, grazie a Monti, l'Italia è riuscita a domare il cavallo impazzito dello spread. Ma questo, secondo Renzi, ancora non basta.

    “Vedete: mi sembra oggettivo che questo governo stia facendo i compiti casa. Ed è vero che molte delle cose che i professori sono riusciti a fare sono cose che sono state promesse per anni e non sono mai state realizzate da nessun governo: né di destra, né di centro, né di sinistra. Ma a questo va aggiunto un dettaglio non indifferente. Perché quando si va in Europa, si parla con la Merkel e con Sarkozy, e non si tocca il vero problema, che è quello della Bce, della follia che la nostra Banca centrale non sia prestatrice di ultima istanza, si perde l'occasione di risolvere il vero problema che si trova all'origine dei guai del nostro paese, e direi dei guai di tutta l'Europa”. Renzi, poi, ha un altro suggerimento da offrire al presidente del Consiglio. “Ho visto che nel decretone sulle liberalizzazioni è stato inserita l'eliminazione dell'obbligo di applicare i contratti collettivi di settore nel trasporto ferroviario. Personalmente sono un fan del modello Marchionne e credo sia auspicabile che l'eliminazione dell'obbligo di applicare i contratti collettivi di settore venga esteso anche ad altri settori. Certo, l'importante è che i vari Marchionne che ci sono in giro per l'Italia poi, oltre che stare lì a formulare buoni propositi teorici, perdano anche due minutini due a fare delle macchine decenti, cosa che finora Marchionne non mi sembra abbia fatto come aveva promesso”.

    Renzi, a proposito ancora di Monti, o meglio, a proposito dell'origine del governo Monti, ha una sua idea precisa. Il sindaco di Firenze non parla di sospensione della democrazia ma arriva a dire che se Giorgio Napolitano ha scelto come cura estrema per salvare il nostro paese quella di affidare la guida dell'Italia a un governo tecnico, senza passare per le elezioni, la responsabilità non è certo del famigerato attacco dei mercati bensì dell'intera classe politica. “L'impeccabile Napolitano – dice Renzi – dando il via libera al governo Monti è come se avesse distribuito una sorta di certificato di rottamazione. E' stato come un preside che ha chiamato in aula il supplente perché nessun professore si trovava nelle condizioni di poter far lezione. Ed è anche per questo che, a mio avviso, il governo tecnico nasce da due fallimenti legati uno con l'altro: nasce dal fallimento del progetto del centrodestra, ovviamente, ma nasce anche dall'inadeguatezza della proposta offerta dal centrosinistra. Perché, è vero: Bersani (che non so se ha cambiato linea, ma di sicuro io oggi mi sento più vicino a lui rispetto a qualche tempo fa…) in questa fase si è dimostrato serio, coraggioso e responsabile. Ma se l'alternativa al centrodestra avesse avuto un proprio progetto credibile sarebbe stato più naturale ridare la parola agli elettori, e fare per esempio quello che è successo in Spagna: votare. In Italia invece noi avevamo solo Vasto, Vasto e Vasto, e avevamo un'opposizione che per troppo tempo si è preoccupata di Ruby e Bunga bunga dimenticandosi di offrire un vero progetto per il paese”. Renzi poi aggiunge un'ulteriore osservazione. “Io credo che il Pd debba stare davvero in guardia. Perché questo governo, ci scommetto, offrirà al centrodestra la possibilità di rifarsi una sua verginità, e se dopo questa fase di ‘safety car' della politica non verrà ridiscussa presto la linea del Pd, e se questa segreteria rimarrà inchiodata alla foto di Vasto, mi sembra scontato che il Partito democratico rischia di subire un clamoroso cappotto alle prossime elezioni”. E cosa si dovrebbe fare? “Semplice: se non vogliamo fare la figura dei pazzi per arrivare preparati alle prossime elezioni sarà necessario convocare delle primarie. Quando? Ovvio: in autunno. E badate bene: primarie aperte a tutti, senza escludere nessuno, come è sempre stato nel migliore spirito del centrosinistra. Se ci sarà qualcuno dei nostri? Qualcuno dei ragazzi del Big bang? Non vedo perché non dovrebbe essere così”. E chi ci dovrà essere secondo Renzi alla guida del centrosinistra nel 2013? “Non lo so. So solo che questa classe dirigente si deve fare da parte: è impensabile che la generazione dei D'Alema e dei Bersani continui a essere anche tra un anno il simbolo del centrosinistra italiano”.

    E a proposito di candidature, proviamo a stuzzicare Renzi anche su un altro tema: Corrado Passera. Renzi ammette di avere un buon rapporto con l'ex numero uno di Banca Intesa, ma nega nel modo più assoluto che con l'attuale ministro dello Sviluppo esista o possa esistere alcun progetto politico comune. “Nessun progetto, figuriamoci, ma non scherziamo! Detto questo, uno come Passera mi sembra che abbia le carte in regola per tentare un domani di tradurre in politica l'esperienza del governo Monti, e francamente non ci vedrei nulla di male se dovesse tentare questa strada. Dove lo vedrei? Mah: dal punto di vista culturale la sua mi sembra una visione più di centrosinistra che di centrodestra, ma qualsiasi cosa dovesse fare, se la farà, sono certo che si inserirà all'interno di un contesto bipolarista. In che senso? Nel senso che non credo alla nascita di un grande centro. E credo anzi che se non si faranno pasticci con la legge elettorale chiunque nel futuro voglia fare politica sarà costretto a scegliere uno dei due poli. E senza disastri neocentristi o inverosimili Dc 2.0”. E quando Renzi parla di possibili pasticci sulla legge elettorale ha in mente due parole ben precise. Quelle due sì: modello tedesco. “So che nel mio partito, a cominciare da D'Alema, c'è chi sogna di poter ristrutturare il sistema politico in chiave tedesca. Beh: bisogna dirlo senza ipocrisie. Quel modello verrebbe fatto per dare la possibilità al centro di diventare un grande centro e per far diventare il Pd una specie di Pse, un nuovo Pds, una sorta di vecchio Spd, e insomma un ex Pd. Francamente – continua il sindaco – non capisco che cosa ci voglia a capire che se il Pd vuole restare il Pd deve difendere fino allo stremo il bipolarismo. Altrimenti, e il modello tedesco secondo me indica questa strada, potremmo prepararci a celebrare i funerali del Pd e rassegnarci a perdere ancora elezioni per i prossimi dieci anni”.

    Nel suo ragionamento, Renzi rivendica il fatto che nella sua giunta ha offerto una piccola ma significativa prova di vocazione maggioritaria, scegliendo di affidare a soli esponenti del Pd gli incarichi di assessori comunali (a Firenze sono otto). “Io credo che non sia un'utopia immaginare di poter semplificare un giorno il nostro quadro politico dando vita a due grandi contenitori, uno di centrodestra e l'altro di centrosinistra. In fondo è quello che già succede nei grandi comuni italiani. Lì il bipolarismo è un dato di fatto, e più che sindaci del Pd, del Pdl, della Lega, o di Sel esistono semplicemente sindaci di centrodestra e sindaci di centrosinistra. Confesso – aggiunge il sindaco – che resta un mio sogno quello di riuscire a convincere il mio partito che l'unico modo per salvare il progetto del Pd – e dare vita a un grande e vero centrosinistra – è rendersi conto che i vecchi partiti, quelli del secolo scorso, ormai sono belli che morti. Nei prossimi mesi, con i ragazzi del Big bang, organizzeremo un serie di eventi in giro per l'Italia e naturalmente, tra una cosa e l'altra, anche di questo parleremo”. Conclude Renzi: “A mio avviso in questi mesi è in corso una rivoluzione che sta trasformando sempre di più i partiti in grandi contenitori. E proprio per questo l'idea che all'interno di questa rivoluzione ci sia qualcuno che sta studiando un modo per trasformare il Pd in una ‘Cosa Quattro' non mi sembra un colpo di genio. Mi sembra solo il modo migliore per trasformare il Pd in un partito a vocazione minoritaria. Come diceva Blair, io adoro tutte le tradizioni del mio partito. Tutte. Tranne quella di essere un partito che non perde il vizio di essere sempre e dannatamente perdente”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.