Talking about Italy
Sfiziosa nota politica di Citigroup sull'Italia che verrà
Il presidente del Consiglio, Mario Monti, porterà forse all'implosione della Seconda Repubblica e alla nascita della Terza (meglio, “Italy 3.0”), ma non sarà lui a guidarla. Non è l'opinione di un notista politico molto introdotto, bensì di due analisti di una delle principali banche al mondo, Citigroup. Il rapporto si chiama “Talking about italian politics. Some rays of light in a complicated country”: è forse uno dei migliori pezzi giornalistici su quanto c'è da attendersi dalla politica italiana nei prossimi mesi.
Il presidente del Consiglio, Mario Monti, porterà forse all'implosione della Seconda Repubblica e alla nascita della Terza (meglio, “Italy 3.0”), ma non sarà lui a guidarla. Non è l'opinione di un notista politico molto introdotto, bensì di due analisti di una delle principali banche al mondo, Citigroup. Il rapporto si chiama “Talking about italian politics. Some rays of light in a complicated country”: è forse uno dei migliori pezzi giornalistici su quanto c'è da attendersi dalla politica italiana nei prossimi mesi. Se la stampa ormai scrive soprattutto di economia e di spread, non è paradossale che le banche inizino a occuparsi (in maniera sofisticata) di politica.
Secondo i due autori del report, Mauro Baragiola e Tina M. Fordham, per Monti la partita si gioca tutta di qui ad aprile. E' questa la “deadline”, scrivono, per poter indire elezioni anticipate nel 2012. Fin dal 1948 infatti le elezioni italiane si svolgono nel periodo marzo-giugno, non oltre, perché se si sciogliessero le Camere a giugno e si andasse a elezioni in luglio si finirebbe per far campagna elettorale in agosto, un nonsense. Così come poco probabile sembra l'idea di convocare elezioni in novembre-dicembre. Dunque, fondamentale tirare fino ad aprile. Da quel momento in poi, Monti sarà blindato e potrà accelerare su quelle riforme che “finora sono sembrate un po' troppo timide”. E Citigroup scommette che alla fine la boa sarà superata. Un po' perché nonostante le resistenze delle lobby che stanno combattendo contro le liberalizzazioni, e la tentazione di alcuni partiti di far saltare il banco e sfruttare il porcellum (“pig law” nel report della banca), due elementi blindano il premier.
Primo, l'unico che potrebbe davvero staccare la famosa spina a Monti è sempre e solo Silvio Berlusconi. Ma, scrivono gli analisti, Monti “si è coperto da questo rischio” – e qui è interessante l'utilizzo del lessico finanziario, Citigroup parla di “hedging”, cioè la riduzione del profilo di rischio – congelando fino ad aprile l'asta per le frequenze televisive, cosa che sta molto a cuore a Mediaset.
Il Cav. dovrebbe quindi scegliere se rientrare nell'agone elettorale (col rischio “di perdere senza la Lega e provocando un'impennata degli spread”) oppure continuare a fare il supporter di Monti negoziando sulle frequenze. Secondo elemento a favore del premier, il debito pubblico: ci sono 150 miliardi di bond da piazzare di qui ad aprile, e se le aste andassero deserte non rimarrebbe altro che l'ipotesi Fondo monetario internazionale, con conseguente scenario greco; “c'è qualche deputato italiano che si prende questa responsabilità?”.
Superato lo scoglio delle elezioni anticipate, viene il bello. Senza più questa spada di Damocle sulla testa, Monti potrebbe lanciarsi in un processo di riforme dello stato molto più incisivo di quello fatto finora, portando al collasso della Seconda Repubblica e alla nascita della Terza. Perché se i partiti – come è assai probabile – non accetteranno significativi cambiamenti (numero dei parlamentari, enti locali, burocrazie), Monti potrebbe andare avanti da solo, questa volta in assetto da combattimento, contro lobby, corporazioni e lo stesso Parlamento riluttante. Un'operazione che certamente intercetterebbe il consenso degli italiani, cui spetterebbe poi l'ultima parola nel seggio elettorale. E a quel punto gli stessi partiti che avranno osteggiato, chi più chi meno, la politica montiana di riforme, saranno diventati impresentabili. Nel 2013, “Pdl, Pd e Lega potrebbero essere dimissionati, un'occasione che capita una volta nella vita”, scrive Citigroup.
La Seconda Repubblica potrebbe finire, e ne vedremmo sorgere una Terza, nella quale gli analisti ritengono che il posto di Monti ormai salvatore della patria non sarebbe a Palazzo Chigi, bensì al Quirinale. Mentre si intravedono “nell'attuale Consiglio dei ministri potenziali candidati a guidare le nuove forze politiche che emergeranno”. Naturalmente, specificano Baragiola e Fordham, questo è lo scenario più ottimistico per l'Italia: potrebbe avvenire il peggio (vittoria delle lobby, dimissioni del premier, elezioni anticipate). Ma non scordiamoci che di qui al 2013 i titoli da piazzare sono 370 miliardi: “Monti ha un migliore amico”. E non è il presidente Napolitano. “E' il debito pubblico italiano”.
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