Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto?

Elisa Adelgardi

Quando il premio nobel Wislawa Szymborska ha voluto descrivere il significato profondo della poesia, si è immaginata una cerva. Una cerva scritta (“napisana sarna”) in un bosco (“las”) scritto. Si è immaginata una distesa boschiva incessante, a perdita d’occhio, dove la parola “Silenzio” (“Cisza”) qui ha un suono, il fruscio della penna sul foglio mentre “scosta i rami generati dalla parola bosco". Silenzio, boschi, animali selvatici.

    Quando il premio Nobel Wislawa Szymborska ha voluto descrivere il significato profondo della poesia, si è immaginata una cerva. Una cerva scritta (“napisana sarna”) in un bosco (“las”) scritto. Si è immaginata una distesa boschiva incessante, a perdita d’occhio, dove la parola “silenzio” (“cisza”) qui ha un suono, il fruscio della penna sul foglio mentre “scosta i rami generati dalla parola bosco". Silenzio, boschi, animali selvatici. Termini e immagini semplici hanno reso la poetessa Wislawa Szymborska la rappresentante della sua Polonia, quella che ha percorso la storia d’Europa, che ha visto il cambiamento dei tempi subendoli sulla propria pelle. Szymborska non ha mai dimenticato la propria identità, la propria natura, il silenzio dei prati coperti dalla neve nonostante il frastuono dei tempi moderni.

    Molto di lei lo spiega il luogo di nascita, Bnin, nella contea di Włocławek. Il cuore pulsante della nazione contesa, nelle cui praterie, poco più a nord, ha visto la luce Nicolò Copernico. Trasferitasi a Cracovia da bambina, Wislawa durante l’occupazione tedesca ha dovuto lavorare come dipendente per le ferrovie polacche pur di evitare i lavori forzati in Germania. Nel dopoguerra il socialismo le impedì comunque la pubblicazione del suo primo libro. Fu amica del poeta Czesław Miłosz, che la lanciò e vide in lei quello che il mondo ha riconosciuto nel 1996, quando le fu conferito il Nobel per la letteratura. La vita della Szymborska è a grandi linee la vita che può raccontare un qualsiasi polacco della sua generazione, con i cambi di regime, il tempo che corre veloce, e lo spirito combattivo di chi ha sofferto in silenzio la durezza della storia (“La vita è distinguere il dolore da tutto ciò che dolore non è; stare dentro gli eventi, dileguarsi nelle vedute, cercare il più piccolo errore”).

    Non a torto è stata definita la poetessa della semplicità, minimalista e ironica. La stessa Szymborska in un’intervista al Guardian ha parlato della sua singolare predisposizione alla solitudine, al silenzio: “Tutti hanno bisogno della solitudine, specialmente chi vuole ripensare alla propria vita”. Il risultato è palese: pensieri profondi come la morte, l’amore, l’incomprensibilità del presente e del futuro sono espressi con quella pacata dignità che gli autori slavi ci hanno insegnato. E così l’amore perduto si confonde con il filo d’erba mosso dal vento, mentre la neve si scioglie e la primavera riporta la luce. E così la morte non è più invincibile: “Non c’è vita che almeno per un attimo non sia immortale. La morte è sempre in ritardo di quell’attimo. Invano scuote la maniglia d’una porta invisibile. A nessuno può sottrarre il tempo raggiunto”.