Crolli, segnali e profezie

Qualche legittimo sospetto sull'Ipo dorata di Facebook

Claudio Cerasa

Il detto sono tutti quei numeri che messi uno accanto all’altro sarebbero sufficienti a farti venire le vertigini: i 27 anni del capo, gli 845 milioni di persone che ogni mese trafficano sul suo sito, i 483 milioni di curiosoni che una volta al giorno cliccano sui suoi “mi piace”, i quattro miliardi di dollari che ogni anno finiscono sotto la voce “fatturato” e poi quei cento miliardi di valore in Borsa che a poche ore dalla quotazione ufficiale hanno moltiplicato per venticinque volte il valore reale del social network più famoso del mondo.

    Il detto sono tutti quei numeri che messi uno accanto all’altro sarebbero sufficienti a farti venire le vertigini: i 27 anni del capo, gli 845 milioni di persone che ogni mese trafficano sul suo sito, i 483 milioni di curiosoni che una volta al giorno cliccano sui suoi “mi piace”, i quattro miliardi di dollari che ogni anno finiscono sotto la voce “fatturato” e poi quei cento miliardi di valore in Borsa che a poche ore dalla quotazione ufficiale hanno moltiplicato per venticinque volte il valore reale del social network più famoso del mondo. Il detto è questo: è l’entusiasmo per la quotazione, la fibrillazione degli azionisti, l’eccitazione dei cronisti, il sorriso di Mark Zuckerberg e il paragone con il passato – e con Google, e con la General Motors, e con la Ford e con tutte le altre stelle del firmamento americano che alla loro prima volta in Borsa non sono riuscite a raggiungere le stesse cifre che invece raggiungerà Facebook la prossima settimana, quando ufficializzerà la sua storica quotazione al Nasdaq. Dietro al detto, però, esiste anche un non detto che in queste ore sta terrorizzando gli analisti finanziari di mezzo mondo.

    E il non detto è nascosto in quella parolina stregata: bubble. Eh già: e se a un certo punto tutto dovesse sgonfiarsi? E se la quotazione di Facebook facesse tornare in vita i fantasmi della bolla del 2001? E se l’ingresso in Borsa di Zuckerberg dovesse dare il là all’onda anomala di un nuovo maremoto finanziario? Il sospetto esiste. E a parte qualche dichiarazione maligna di qualche diabolico manager americano (vedi Eric Schmidt, numero uno di Google, convinto che “una nuova bolla di Internet non sia affatto da escludere”) vi sono diversi segnali che confermerebbero come l’ingresso di Facebook al Nasdaq possa coincidere davvero con una nuova mostruosa bolla tecnologica. E i sospetti da dove nascono? Nascono da tre dati diversi ma tutti legati alle possibili criticità finanziarie del mondo dei social network. Il primo dato riguarda il crollo in Borsa fatto registrare da uno dei titoli tecnologici tenuti più sotto osservazione negli ultimi mesi dagli agenti della finanza. Il titolo si chiama “Renren”, è l’omologo cinese di Facebook e dal giorno della sua Ipo (avvenuta nel 2011) ha perso il 72 per cento del suo valore azionario (prezzo di partenza 14 dollari, valore di un’azione ieri sera 5 dollari, e il suo andamento rispetto alla media del Nasdaq lo trovate nel grafico in questa pagina).

     

     

     

    Il secondo dato riguarda un altro crollo bestiale che si è recentemente materializzato al Nasdaq. Un crollo relativo all’evoluzione dei titoli legati ai primi social network quotati in Borsa. I dati sono spietati: Groupon è passata da 26 dollari a 21 dollari ad azione; Pandora è passata da 16 dollari a 12 dollari ad azione, Zynga è passata dai 9,5 dollari agli 8,5 di inizio anno (risalendo però a 10 in questi giorni) e persino i giganti di Linked-in (il social network dei professionisti più famoso del mondo) negli ultimi sette mesi hanno perso quasi un terzo del loro valore, arrivando dai 109 dollari ad azione di luglio ai 72 dollari di oggi. Il terzo dato invece riguarda l’andamento (anche questo negativo) di un titolo particolare quotato al Nasdaq. Il titolo si chiama “Gsv Capital”, è un fondo che ha investito 49 milioni di dollari in titoli tecnologici (da Groupon a Twitter, da Zynga a Facebook) e da metà luglio a oggi ha polverizzato il 30 per cento del suo valore. Solo casi? Solo coincidenze? Chissà. “In effetti la quotazione di Facebook – ha detto ieri alla Cnn Richard Harris, ceo di uno dei fondi di investimento più famosi del mondo, l’Investment Management Shelter Port Said – ricorda i tempi delle quotazioni folli del 2001. Ma fin quando gli investitori si fideranno delle potenzialità di crescita di Facebook problemi a breve termine non ci dovrebbero essere”. Finché c’è fiducia nessun problema, dunque. Ma si capisce che, in questi tempi in cui un qualsiasi stentato battito di ali di una qualsiasi farfalla in una qualsiasi parte del mondo è sufficiente a compromettere in modo irreversibile gli umori dei mercati, dire che tutto dipende dalla fiducia degli investitori non è esattamente una grandissima assicurazione sulla vita per i nuovi giganti delle Borse americane.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.