Calci paralleli
Giovani e senza posto fisso
Come attaccante se la cava, come testimonial farebbe un figurone. Fabio Borini dovrebbe essere portato a esempio da Mario Monti, sarebbe perlomeno più brillante delle performance dialettiche del premier e dei suoi ministri.
Come attaccante se la cava, come testimonial farebbe un figurone. Fabio Borini dovrebbe essere portato a esempio da Mario Monti, sarebbe perlomeno più brillante delle performance dialettiche del premier e dei suoi ministri. Lui il posto fisso non sa che cosa sia, lui l'esperienza all'estero se l'è fatta, lui bamboccione non lo è più da quando doveva compiere 17 anni: lo spot perfetto. Nel 2007 lascia Bologna e famiglia per volare a Londra, sponda Chelsea: "Ci ho impiegato dieci minuti a decidere". La vita in una famiglia come un ragazzo alla pari, il primo contratto, gli allenamenti, lo studio, Didier Drogba per maestro: un bagaglio di esperienze e conoscenze che Borini mette in pratica esordendo in Premier grazie a Carlo Ancelotti e segnando le prime reti nel prestito allo Swansea. Fino a quando non lo richiama l'Italia, invertendo la fuga dei piedi buoni all'estero. Prima il Parma e adesso la Roma, dove Borini ha una fortuna particolare nell'inseguimento al posto fisso. Perché servono le condizioni giuste per ottenerlo e in giallorosso ci sono, con una società e un tecnico che credono nei giovani. Certo, Luis Enrique non è stupido: i ragazzi vanno bene, ma devono essere opportunamente guidati. E quindi difesa incentrata su vecchi corsari quali Taddei, Juan e Heinze e il resto della squadra imperniato sulla saggezza di Totti e De Rossi. Ma davanti l'asturiano vuole corsa e spregiudicatezza, quelle di Lamela, Pjanic, Bojan e, per l'appunto, Borini. Che nelle ultime quattro partite ha preso il posto dell'infortunato Osvaldo e ha ripagato il tecnico con altrettante reti. Le ha festeggiate portando la mano di taglio tra i denti, a simulare un coltello: "Perché io sono uno che ha sempre fame".
La stessa che ha (che dovrebbe avere) Manolo Gabbiadini, gemello di Borini non solo per età – entrambi del 1991, con il primo più giovane otto mesi – ma anche per ruolo e maglia azzurra. Nell'Under 21 l'atalantino è leader incontrastato, con 10 reti in 13 partite. I compagni lo seguono, il ct Ciro Ferrara lo adora. Il guaio è che, una volta tornato a Bergamo, per Gabbiadini gli spazi si restringono inesorabilmente. Si gioca a una punta e Stefano Colantuono non è Luis Enrique: la scala gerarchica è disegnata in base a età ed esperienza del singolo, il ragazzo viene dopo Denis, Tiribocchi, persino Marilungo. Siede in panchina – se va bene – e nei tabellini Gabbiadini significa Melania, la sorella che attacca (e segna tanto) per il Bardolino e la Nazionale donne. L'Atalanta dice di credere in lui, a Manolo converrebbe invece seguire l'esempio di Borini e il consiglio di Monti: mollare l'Italia e scommettere su se stesso all'estero. L'ha cercato il Manchester United, ma potrebbe essere una soluzione rischiosa, visto come s'è perso il povero Federico Macheda. Meglio allora l'Amburgo, che lo sorveglia da tempo. Là comanda Frank Arnesen, il dirigente che – oltre a Borini – aveva portato al Chelsea Jacopo Sala. Uno che Gabbiadini conosce bene, perché era con lui nell'Atalanta. Uno che giusto sabato ha giocato titolare contro il Bayern, segnando anche la rete del vantaggio. Non ha mostrato il coltello tra i denti, ma sicuramente ce l'ha.
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