Gli orchi e i vili
Sa cosa mi dice il Papa quando lo incontro? ‘Questi casi così tristi, quando finiranno?’. E’, infatti, soltanto negli ultimi anni che Joseph Ratzinger si è reso conto di come il problema degli abusi sessuali sui minori sia un problema da non trascurare anche per la chiesa. Un problema che lo interroga e gli provoca dolore. Per questo motivo oggi la sua linea è quella della trasparenza e dell’onestà. Certo, ciò non significa che vogliamo diventare zerbini di quella cultura vile, e sottolineo vile, che usa dei peccati di alcuni sacerdoti per screditare la chiesa cattolica, un’istituzione da sempre maestra nell’accoglienza dei bambini”.
Leggi Problemi dei preti a convegno per discutere di pedofilia di Giuliano Ferrara
Sa cosa mi dice il Papa quando lo incontro? ‘Questi casi così tristi, quando finiranno?’. E’, infatti, soltanto negli ultimi anni che Joseph Ratzinger si è reso conto di come il problema degli abusi sessuali sui minori sia un problema da non trascurare anche per la chiesa. Un problema che lo interroga e gli provoca dolore. Per questo motivo oggi la sua linea è quella della trasparenza e dell’onestà. Certo, ciò non significa che vogliamo diventare zerbini di quella cultura vile, e sottolineo vile, che usa dei peccati di alcuni sacerdoti per screditare la chiesa cattolica, un’istituzione da sempre maestra nell’accoglienza dei bambini”.
A poche ore dall’apertura del simposio internazionale “Verso la guarigione e il rinnovamento” che la Pontificia università Gregoriana ha aperto ieri (si chiuderà giovedì prossimo) con un intervento del cardinale William Joseph Levada, prefetto della Dottrina della fede, con l’obiettivo di offrire strumenti per una “risposta globale agli abusi sessuali su minori commessi da chierici e assicurare la migliore protezione e tutela agli stessi minori”, il maltese Charles J. Scicluna, promotore di giustizia dell’ex Sant’Uffizio – in sostanza il pubblico ministero della Santa Sede, colui che indaga sui cosiddetti “delicta graviora”, i delitti che la chiesa cattolica considera i più gravi in assoluto – è seduto nel suo ufficio all’interno del palazzo vaticano sede della Congregazione diretta dal 1981 al 2005 dall’allora cardinale Ratzinger. Intorno a una grande scrivania di legno, scaffali pieni di dossier. “C’è anche quello di Marcial Maciel Degollado”, dice riferendosi al prete fondatore dei Legionari di Cristo riconosciuto colpevole di molestie sessuali reiterate a danno di seminaristi anche minorenni, “un caso doloroso venuto alla luce in tutta la sua gravità soltanto di recente. Il caso di Maciel, purtroppo, non è isolato. Queste cose non possono più essere tollerate, parlarne per noi è salutare oltre che doveroso. Solo se ne parliamo possiamo guardare il mondo a testa alta, senza complessi”. Dice ancora Scicluna. “Non fraintendiamo però: il convegno della Gregoriana nasce da un’idea dei gesuiti col pieno appoggio del Papa e dei vertici del Vaticano. Nasce perché la chiesa vuole anzitutto mettersi dalla parte delle vittime, dei bambini, e per questo in scia alla lettera di Benedetto XVI ai cattolici d’Irlanda, chiede ‘pentimento’, ‘onestà’ e ‘trasparenza’, perché non c’è giustizia senza verità. Vanno in questa direzione le iniziative che seguiranno il convengo, su tutte una sorta di piattaforma di e-learning attiva in Germania raggiungibile via internet o mail in modo che tutti i vescovi siano aiutati ad affrontare casi di pedofilia. Il convegno, dunque, nasce per queste ragioni e con questi intenti. Ma non bisogna dimenticare una cosa importante: al fondo resta il fatto che seppure alcuni membri della chiesa siano stati peccatori, la chiesa stessa ha tanto da insegnare al mondo anche in merito all’educazione dei più piccoli. Il convegno di questi giorni non è una risposta remissiva ad azioni a mio avviso discutibili, quali, tanto per fare un esempio, la violazione del sacro riposo di uno dei padri teologici del Concilio Vaticano II, Léon-Joseph Suenens, e dell’arcivescovo Joseph-Ernest Van Roey, avvenute in Belgio nel 2010 quando la polizia del posto cercava chissà quali archivi segreti che confermassero l’occultamento da parte della chiesa degli abusi dei suoi preti. E’ piuttosto la volontà di dire al mondo: non abbiamo paura dei nostri errori. Stiamo dalla parte di coloro che sono stati violentati. Ma ciò non significa che cediamo di fronte a questa cultura che sappiamo essere spesso vile”.
Vile, un termine forte. A cosa pensa esattamente? “A tante cose. L’ultimo episodio riguarda il New York Times e la Cnn. Il fatto è questo: lo scorso 12 dicembre sono uscite delle agenzie di stampa che parlavano di abusi su minori commessi in una comunità ebraica di Brooklyn. L’ufficio del procuratore distrettuale, Charles Hynes, aveva rivelato che negli ultimi tre anni erano state arrestate 85 persone accusate di aver molestato almeno 117 bambini. L’operazione, battezzata ‘Kol Tzedek’ (in ebraico ‘Voce della giustizia’) non è stata una passeggiata anche a motivo della pur legittima atmosfera di riservatezza presente all’interno della stessa comunità. Ora, ricordandomi il trattamento che i media statunitensi avevano riservato al Papa e alla chiesa cattolica per le vicende di pedofilia, in particolare ricordo il caso del reverendo Lawrence C. Murphy accusato di aver violato l’innocenza di 200 bambini sordi di una scuola del Wisconsin, mi sono permesso di girare la notizia a una corrispondente della Cnn e di chiederle se non ritenesse la cosa rilevante. Se non la ritenesse rilevante almeno tanto quanto il caso di padre Murphy. Beninteso: non ce l’avevo con la comunità ebraica del posto, ci mancherebbe. L’ho fatto soltanto per una questione di equità. Comunque, passano i giorni e non ho risposta. Il 3 febbraio, finalmente, mi scrivono per dirmi che dopo attenta valutazione non hanno trovato nella notizia nulla di interessante, nulla che meriti parlarne. Cito questo episodio per dire che siamo ben consapevoli di come siamo stati trattati nell’annus horribilis 2010, l’anno dello scoperchiamento di tanti casi di pedofilia avvenuti all’interno della chiesa cattolica. Ma nello stesso tempo siamo consapevoli che c’è molta faziosità in coloro che ci accusano, siamo consapevoli che coloro che ci accusano vogliono farci essere ciò che non siamo, costringerci ad abbracciare in pieno le loro regole e i loro costumi. Nonostante ciò vogliamo fare la nostra parte, affinché questi casi non si verifichino più”.
Nel 2010 sono accadute molte cose. Tra queste un’omelia che Scicluna pronunciò in piena bufera nella basilica vaticana. I giornali riportarono le sue parole così: “Preti pedofili: per loro l’inferno più duro”. Pronuncerebbe ancora queste parole? “Col senno di poi no. E il motivo è semplice: sono stato strumentalizzato. Nessuno ha detto che quelle parole non erano mie, ma di Gregorio Magno che bacchettava coloro che all’interno della chiesa davano scandalo. E nessuno ha detto che io, poco dopo, parlavo anche della misericordia che la chiesa deve saper riservare a tutti, anche a coloro che sbagliano. Comunque la prossima volta cercherò d’essere più accorto, anche se, va detto, la chiesa ha saputo usare parole ancora ben più dure contro coloro che al proprio interno scandalizzano i piccoli. Le parole di Gregorio Magno, ad esempio, non sono nulla rispetto a quelle che pronunciò Cromazio d’Aquileia, il vescovo a cui il Papa ha anche dedicato una sua recente catechesi del mercoledì. Disse: ‘Tenete lontani i mistici della chiesa corrotti’. E ancora: ‘Se dunque un presbitero o un diacono, a causa di una fede distorta o per un modo di vivere tutt’altro che esemplare, avranno recato scandalo alla chiesa, è il Signore stesso a imporre che gente di tal risma venga assolutamente tagliata via dal corpo della chiesa, perché non sia tutto il corpo della chiesa a correre grave pericolo’. Se poi a dare scandalo è un vescovo, dice Cromazio che il Signore ‘ordina di stanarlo perentoriamente dal corpo della chiesa e di scomunicarlo’”.
Dice Scicluna che il richiamo alla penitenza è proprio della chiesa da sempre. Non è un arretramento proprio di questi ultimi mesi, arrivato dopo gli anni missionari e per certi versi trionfali di Giovanni Paolo II? “Certo”, ammette Scicluna, “lo stile oggi è un po’ diverso. Benedetto XVI ha uno stile diverso da quello di Giovanni Paolo II. Ma parlerei di stile, non di sostanza. E poi, forse, di maggiore consapevolezza. Quando arrivò a Roma, Joseph Ratzinger non aveva la medesima percezione dei problemi della chiesa che ha ora. E poi domandiamoci: di che cosa ha bisogno oggi il mondo? Ha bisogno della verità e della giustizia. Sono fermamente convinto che nonostante tanta ipocrisia vi sia fuori dalla chiesa, alla chiesa stessa spetti ispirarsi a un’onesta ricerca della verità e della giustizia. In questo senso, se al posto della verità si afferma l’omertà e il silenzio, c’è qualcosa che non va. Nemici della verità sono la negazione volontaria di fatti noti e l’erronea preoccupazione secondo la quale al buon nome dell’istituzione debba in qualche modo essere garantita la massima priorità a discapito della legittima denuncia di un crimine. In fondo soltanto l’ammissione e il riconoscimento della verità dei fatti, comprese le conseguenze spesso dolorose, è la fonte della vera guarigione sia per la vittima sia per il responsabile del crimine. Mi è facile citare il Vangelo di Giovanni: ‘La verità vi renderà liberi’. Un’onesta ricerca della verità e della giustizia costituisce la migliore risposta che possiamo offrire al triste fenomeno dell’abuso sessuale su minori da parte dei chierici”.
L’interesse della chiesa per il convegno è notevole. Ogni Conferenza episcopale ha deciso di mandare a Roma un suo delegato. Parlano le gerarchie ma anche le vittime. Il punto di partenza è la lettera della Congregazione guidata da Levada che ha chiesto a tutte le Conferenze episcopali di dotarsi di linee guida per la lotta alla pedofilia. Alcune linee guida sono già giunte a Roma. Conclude Scicluna: “La chiesa è consapevole che di fronte a ogni problema serve discernimento e poi capacità di riformarsi. Nel libro intervista ‘Rapporto sulla fede’ scritto con Vittorio Messori, Ratzinger diceva che di fronte alla colpa è l’individuo, non la chiesa, che deve chiedere scusa. Ratzinger parlava della ‘necessità dell’ammissione personale della propria colpa’ perché troppo spesso essa viene ‘nascosta nella massa anonima del noi, del gruppo, dell’umanità dove tutti peccano e, dunque, alla fine nessuno sembra avere peccato’. Il nostro intento, il motivo del nostro Convegno, insomma, non è fare mea culpa ma lavorare per riformarci: la riforma di ciò che siamo, anche delle norme che regolano il nostro agire, sono necessarie per essere più preparati di fronte ai pericoli”.
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