Armatevi e partiamo

Tutti inorriditi da Assad, ma nessuno vende armi all'Esercito libero di Siria

Daniele Raineri

Il mondo è inorridito dai massacri di Bashar el Assad e ora l’opposizione in armi diventerà la grande protetta dei poteri internazionali? Aiutata da Nato, Lega araba o Consiglio di cooperazione del Golfo? Per ora nulla. Come spesso succede, i numeri del mercato nero danno il quadro.

    Il mondo è inorridito dai massacri di Bashar el Assad e ora l’opposizione in armi diventerà la grande protetta dei poteri internazionali? Aiutata da Nato, Lega araba o Consiglio di cooperazione del Golfo? Per ora nulla. Come spesso succede, i numeri del mercato nero danno il quadro. A Beirut il prezzo delle armi leggere destinate ai partigiani in Siria da dieci mesi sale in verticale: un fucile d’assalto russo Ak-47 costa 2.100 dollari (un raffronto: in Iraq e in Yemen costerebbe 100 dollari). Un lanciarazzi da spalla Rpg è a 2.000 dollari, a marzo sullo stesso mercato ne valeva 900. Una granata è a 500 dollari, cinque volte il prezzo di un anno fa. “Tutta merce che va a finire in Siria”, dice il grossista libanese a Nicholas Blanford del Daily Star. Un acquirente siriano spiega l’assoluta penuria d’armi: “Non ci servono altri volontari per combattere Assad, abbiamo tutti gli uomini che potremmo desiderare. Mancano armi e munizioni. Se le avessimo avute, Assad sarebbe finito in fretta”.

    Al di là del confine, un altro giornalista, l’inviato del Guardian Ghaith Abdul-Ahad, che si è infiltrato tra i monti assieme ai contrabbandieri (che prima portavano sigarette e ora sono passati al trasporto armi, così più redditizio) raccoglie altre lamentele tra i compratori siriani: “Non possiamo mandare gli uomini a combattere con un solo caricatore a testa”. E vede prendere le armi anche se sono costose e in cattive condizioni. Questo è il quadro: nessuno aiuta l’Esercito libero di Siria. Ieri il comandante, Riad al Asaad, è sbottato contro il Consiglio nazionale siriano, organismo politico che da Parigi aspira a rappresentare l’opposizione sotto la guida dell’esule Burham Ghalioun. “Il Consiglio nazionale è un fallimento completo. Non è riuscito a farci arrivare nulla da fuori, nessun aiuto materiale o altro”.

    Eppure i retroscenisti sono scatenati da mesi sui presunti aiuti dall’estero (e citano il precedente in Libia contro Gheddafi: carichi di armi leggere dall’Egitto verso Bengasi, finanziamenti lautissimi da parte del Qatar). Il giornale libanese Naharnet a ottobre: istruttori francesi già al lavoro per addestrare guerriglieri siriani in alcuni campi di Turchia e Libano. Il New York Times a ottobre: Ankara ospita i ribelli. Il Telegraph a novembre: la Libia s’è accordata per mandare armi e forse uomini ad aiutare la lotta contro Assad. L’agenzia di stato siriana a gennaio: la guerriglia è un programma clandestino che riunisce gli sforzi di sauditi, americani, francesi, turchi e del solito Qatar. “Aiuti dalla Turchia? Ma di che state parlando?”, chiede sbalordito un comandante dell’Esercito libero ad Anthony Loyd del giornale Australian, trincerato tra i monti vicino al confine. “Tutto quello che abbiamo lo abbiamo tolto all’esercito o lo abbiamo comprato”. E snocciola anche lui il listino: “Un kalashnikov 2.000 dollari. Un M16 americano 3.000. Quell’Rpg che vedi lì con due razzi: ci è costato 5.000 dollari”.

    Ieri il Financial Times ha scritto che il doppio veto russo e cinese di sabato alla risoluzione Onu spingerà l’“Esercito libero di Siria” a diventare un esercito vero e finanziato – magari dai regni del Golfo. Il senatore americano (indipendente) Joe Lieberman chiede l’appoggio di Washington con armi e intelligence. Il segretario di stato americano, Hillary Clinton, dice che il voto in Consiglio di sicurezza è stato “una farsa” e che Washington raddoppierà gli sforzi contro la permanenza al potere di Assad – senza specificare come. Non con la diplomazia ufficiale: ieri l’ambasciata americana a Damasco è stata chiusa. Oggi, per convincere il presidente siriano a cedere il potere al vice, è a Damasco il capo dell’intelligence russa, Mikhail Fradkov.
    twitter @DanieleRaineri

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)