La tripletta di Santorum

Prendi i soldi e taci

Paola Peduzzi

In America si parla solo dei ricchi. I ricchi che vogliono essere tassati (Warren Buffett), i ricchi che devono giustificare come fanno a essere tanto ricchi (Mitt Romney), i ricchi che rovesciano miliardi sulla campagna elettorale (lista lunghissima), i ricchi cattivi evocati dalle piazze di Occupy in giro per il paese e per il mondo, i ricchi di Wall Street che, sulla copertina del New York Magazine in edicola, si tengono le mani sulle palle con aria dolorante sopra al titolo “The emasculation of Wall Street”.

Leggi La tripletta di Santorum - Leggi Il voto cattolico non esiste, esistono i cattolici pronti a tradire Obama di Mattia Ferraresi

    In America si parla solo dei ricchi. I ricchi che vogliono essere tassati (Warren Buffett), i ricchi che devono giustificare come fanno a essere tanto ricchi (Mitt Romney), i ricchi che rovesciano miliardi sulla campagna elettorale (lista lunghissima), i ricchi cattivi evocati dalle piazze di Occupy in giro per il paese e per il mondo, i ricchi di Wall Street che, sulla copertina del New York Magazine in edicola, si tengono le mani sulle palle con aria dolorante sopra al titolo “The emasculation of Wall Street”. Il famigerato “un per cento” è croce e delizia di quest’anno elettorale americano, in vista delle presidenziali del prossimo 6 novembre: quando si devono aizzare i forconi, è il responsabile principale della crisi; quando si devono fare i conti delle campagne elettorali, è il miglior amico del politico.

    La novità del 2012 è rappresentata dai “big-dollar donors”, quelli che hanno tanti soldi da spendere per questo o quel candidato e finalmente non devono più sottostare ai vincoli da formichine. La Corte suprema ha stabilito (con la sentenza Citizens United v. Federal Election Commission del gennaio del 2010) che lo stato non può proibire alle corporation di contribuire in modo indipendente alle campagne elettorali. Nel marzo del 2010, la Corte d’appello del distretto di Columbia ha aggiunto (nel caso Speechnow.org v. Federal Election Commission) che le donazioni ai gruppi indipendenti dai candidati non devono essere limitate. E’ così che sono nati i super Pac (dove Pac sta per Political Action Committee, gruppi privati che raccolgono finanziamenti per questo o quel candidato, con un limite massimo di contributo personale annuo pari a 5.000 dollari) e poi i super-super Pac – mostri del fundraising che stanno trasformando la politica americana, tanto che ormai si parla di un mondo prima del 2010, e di uno dopo il 2010. Il trucco sta nell’“indipendenza”: i candidati  possono ottenere soldi senza limiti, a patto che non vengano mai beccati a stabilire strategie precise assieme ai gestori dei super Pac. Su Mother Jones, rivista culto della controcultura anni Sessanta, un direttore anonimo di super Pac ha spiegato come si fa a capire le intenzioni del candidato che si sostiene senza mai parlargli direttamente.

    La dimostrazione perfetta del funzionamento è stata fatta da Newt Gingrich, candidato alle primarie repubblicane e beneficiario di un assegno da 11 milioni di dollari staccato dal magnate dei casino di Las Vegas Sheldon Adelson con moglie: con questi soldi il super Pac di Gingrich, “Winning Our Future”, ha confezionato un documentario contro il riccone Romney, considerato l’uomo da battere, “The king of Bain - When Mitt Romney Came To Town”, in cui si raccontavano le losche trame dell’ex governatore mormone alle prese con la finanza. Molte delle vicende raccontate si sono rivelate inesatte, se non false, ma quando i giornalisti ne hanno chiesto conto a Gingrich, lui ha messo su la (poco credibile) faccia candida e ha detto: io non c’entro niente, è quel super Pac che ha fatto tutto.

    Barack Obama, mastino del fundraising elettorale (ricordate come nel 2008 riusciva a far aprire il portafoglio a tutti, cinque dollari alla volta, fino a battere tutti i record di soldi raccolti nella storia americana?), ha già raccolto con la sua campagna 80 milioni di dollari, così ha fatto lo schizzinoso con i super Pac, sostenendo che iniettavano negatività e odio in una campagna elettorale già abbastanza nervosa. Poi due giorni fa s’è ingoiato il fastidio e ha ordinato a tutti i capi dello staff per la rielezione di partecipare agli eventi del “suo” super Pac, che si chiama “Priorities Usa Action”. A fargli cambiare idea dev’essere stato il report pubblicato dalla commissione elettorale federale la settimana scorsa che dà l’idea di quanti soldi girano, e a favore di chi (sul sito del New York Times c’è una mappa interattiva che spiega tutto). Solo un esempio: “Restore Our Future”, fondato da due ex collaboratori di Romney, ha raccolto fino al dicembre scorso 30,2 milioni di dollari, al 98 per cento raccolti con contributi singoli superiori ai 25 mila dollari. “Priorities Usa Action” ha soltanto 4,4 milioni di dollari (al 99 per cento raccolti con contributi singoli superiori ai 25 mila dollari). Come ha raccontato il giornale The Politico, che ha naturalmente firmato lo scoop sul cambio di strategia di Obama, lunedì sera il capo della campagna obamiana Jim Messina ha inviato un’email ai sostenitori spiegando: “Abbiamo deciso questa strategia perché non possiamo tollerare che il lavoro che voi fate nelle vostre comunità con le donazioni di base sia distrutto da centinaia di milioni di dollari in pubblicità negative”. Al quartier generale obamiano hanno sezionato il super Pac di Romney e hanno visto che tutti gli spot negativi ai danni di Gingrich sono stati efficaci. Come scrive Messina: “Solo nel 2011, il super Pac che sostiene Romney ha raccolto 30 milioni di dollari dati da meno di 200 donatori. Il 96 per cento di quel che è già stato speso, circa 18 milioni, è finito in spot in cui si attaccava un avversario. Il motore principale della campagna di Romney ha una media di contribuzione singola pari a circa 150 mila dollari”. In più pare che molti appassionati sostenitori – come George Soros – non abbiano ancora aperto il portafoglio non sapendo come Obama la pensi sulla questione. Formalmente il presidente continua a opporsi alla sentenza della Corte suprema e lui, sua moglie Michelle e il vicepresidente Joe Biden non saranno coinvolti in questa strategia pro super Pac: resteranno focalizzati sulla campagna di rielezione.

    Il Los Angeles Times ha spulciato i dati della commissione elettorale, li ha incrociati con i soldi raccolti a partire da gennaio, e ha stilato una classifica dei donatori più generosi: al primo posto sta il già citato Adelson “con famiglia” con i suoi 11 milioni di dollari al super Pac di Gingrich (oggi dice che nel caso è anche disposto a finanziare Romney, se sarà lui il candidato); al secondo posto c’è Harold Simmons, finanziere texano, che ha donato 8,6 milioni di dollari all’ormai non-candidato Rick Perry, a Gingrich e soprattutto ad “American Crossroads”, il più grasso di tutti i super Pac con oltre 50 milioni di dollari che fa capo nientemeno che a Karl Rove; al terzo posto c’è Bob Perry, un altro miliardario texano che ha donato 3,6 milioni di dollari ad “American Crossroads”, Romney e Perry; soltanto al quarto posto si trova finalmente un sostenitore di Obama (dev’essere per questo che Messina è tanto preoccupato), Jeffrey Katzenberg, uno degli uomini più potenti di Hollywood, che ha donato 2 milioni di dollari al “Priorities Usa” di Obama.

    Questa classifica potrebbe essere incompleta, anzi probabilmente lo è. La trasparenza sui donatori non è garantita: basta, ad esempio, che la donazione sia fatta da un gruppo no profit, che per legge può tenere nascosti i suoi finanziatori. Tra i contributori del super Pac di Romney – ha raccontato il Christian Science Monitor – c’è un gruppo no profit che si chiama Spann Llc che apparentemente non si occupa di nulla: è stato costituito appena prima che arrivasse a suo nome un milione di dollari a “Restore our Future” e poi si è dissolto. Pare che sia stato creato da Edward Conrad, ex collega di Romney a Bain Capital.
    I gruppi che si battono per la trasparenza del rapporto soldi-politica riportano altri esempi come questi e, evocando il fantasma del Watergate, hanno fatto pressione sul Congresso che sta lavorando a un aggiornamento del Disclose Act che imponga regole a tutti i mostri del fundraising di nuova generazione. Ma i responsabili dei super Pac ogni giorno trovano modi per confondere i dati e non dover rendere troppo conto dei loro finanziatori. Per esempio sono stati creati già undici super-super Pac, che sono forme ibride in cui i Pac e i super Pac lavorano sotto lo stesso tetto: possono spendere cifre illimitate di denaro, come ogni super Pac, e allo stesso tempo girare cifre limitate di denaro direttamente alle campagne elettorali o ad altri comitati come un tradizionale Pac può fare. Dab Backer, avvocato di Db Capitol Strategies, ha detto: “Un Pac che non diventa un Pac ibrido è gestito da idioti. Lo standard sarà rappresentato dai super super Pac”.

    Il livello di mostruosità può soltanto aumentare, come ha dimostrato il comico Stephen Colbert, che nel suo programma su Comedy Central “The Colbert Report” (pronunciato alla francese), ha messo in scena gli effetti distorsivi dei super Pac. Colbert ha creato un super Pac – “Americans for a Better Tomorrow, Tomorrow”, che compare anche nella lista della commissione federale con i suoi 825.475 dollari – con il quale ha fatto alcuni spot in Carolina del sud a sostegno di Herman Cain, che non è nemmeno più candidato alle primarie repubblicane (si è ritirato a dicembre). Insieme hanno fatto anche un evento con palco e musica a Charleston, il giorno prima del voto alle primarie della Carolina del sud (l’evento si chiamava “Rock Me Like a Herman Cain South Cain-olina Primary Rally” – sì, Colbert è un genio). Non c’era tanta gente, ma il giorno successivo Cain ha comunque ottenuto seimila voti (più di Rick Perry che lì aveva fatto campagna).

    Secondo Colbert si tratta più o meno di riciclaggio di denaro sporco, ma la verità  è che stare fuori dal business dei super Pac fa molto 2010. Nel 2012 la campagna elettorale si fa così.

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    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi