La vera storia
Non è soltanto a Dominca Cermontan, la ragazza moldava che era sulla Costa Concordia quella notte, che bisogna chiedere scusa. Dopo averla usata, messa in prima pagina per trasformare una strage in un fotoromanzo o per fare pressione su Francesco Schettino e convincerlo a raccontare tutto, come ha scritto Marco Imarisio sul Corriere della Sera.
Non è soltanto a Dominca Cermontan, la ragazza moldava che era sulla Costa Concordia quella notte, che bisogna chiedere scusa. Dopo averla usata, messa in prima pagina per trasformare una strage in un fotoromanzo o per fare pressione su Francesco Schettino e convincerlo a raccontare tutto, come ha scritto Marco Imarisio sul Corriere della Sera (“un diversivo che per qualche giorno ha esposto al pubblico ludibrio una giovane donna aggiungendo un aspetto pruriginoso a una faccenda maledettamente seria”).
E’ stato perfino scritto, ripreso, rilanciato, che lei avrebbe detto agli inquirenti: “Io amo Schettino”, come se un procuratore dovesse scandagliare l’animo di una ragazza sopravvissuta al naufragio, trasformarsi in una signorina cuorinfranti per capire se si trattava di un flirt, di un’amicizia o di una grande storia d’amore. E poi la cabina fantasma, il bikini nella cabina, il beauty case, la bionda nella plancia di comando, il vino nella caraffa. Tutto camuffato da inchiesta seria, mai svelando il rotocalco, come se cherchez la femme fosse un argomento indispensabile a spiegare il disastro, la distrazione, la strage. La ragazza moldava, contestando le frottole che sono state scritte, ha detto: “Affonda una nave, muoiono delle persone, ma tutta l’Italia parla di me e del mio amore per il capitano”. Di lei, del capitano, della codardia e dell’eroismo, del modello De Falco, del modello Schettino, e se era giusto aggiungere “cazzo” alla fine di “vada a bordo”, della metafora della politica italiana, degli arresti domiciliari di Schettino, del Titanic e di quanto è profondo il mare e quanto è piccolo l’uomo di fronte alla natura. E’ tutto diventato, subito, una storia diversa.
Ma la storia sono quelle trentadue persone, morte a centocinquanta metri dalla riva. Una bambina di sei anni, Dayana, che è scomparsa nell’acqua insieme al padre, e chissà quanta paura ha avuto, chissà se si tenevano per mano, e non li hanno ancora trovati. Maria D’Introno, trent’anni, sposata da poco, aveva paura del mare, l’hanno trovata al ponte quattro, non ha osato tuffarsi ed è stata risucchiata dalla nave. Thomas Alberto Costilla, 49 anni, era laureato in Antropologia ma faceva le pulizie sulle navi. Stava lavorando quando Schettino ha preso lo scoglio, l’hanno trovato in mare. Francis Servel, francese, settantun anni, che ha rinunciato al giubbotto salvagente per lasciarlo ad altri e non è mai arrivato a riva. Di molti non si conosce nulla, soltanto la nazionalità, di altri si sa che hanno salvato decine di persone prima di scomparire, che hanno insistito per cedere il posto ad altri sulle scialuppe, che hanno mandato un sms di rassicurazioni prima di morire. Il Tirreno, quotidiano di Livorno, ha pubblicato sul sito internet il memoriale delle vittime, e la possibilità di lasciare il proprio ricordo, testimonianza, saluto. E’ a loro, trentadue, che bisogna chiedere scusa, ed è questa la storia che si deve raccontare.
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