No, non siamo l'Udc

Claudio Cerasa

Niente Vasto, niente Casini, niente Terzo polo, niente (o quasi) Di Pietro, niente derive neocentriste, niente Lingotto, niente veltronismo, niente renzismo ma in compenso molta socialdemocrazia, molto Miliband (of course, nel senso di Ed), molto François Hollande, molto Martin Schulz, molto socialismo europeo e, ovviamente, molto, moltissimo “modello Pse”.

    Niente Vasto, niente Casini, niente Terzo polo, niente (o quasi) Di Pietro, niente derive neocentriste, niente Lingotto, niente veltronismo, niente renzismo ma in compenso molta socialdemocrazia, molto Miliband (of course, nel senso di Ed), molto François Hollande, molto Martin Schulz, molto socialismo europeo e, ovviamente, molto, moltissimo “modello Pse”. Non è la solita faccenda del solito imbarazzo del Partito democratico rispetto alla solita storia della collocazione europea del più importante partito progressista italiano. Il Foglio ha ottenuto una gustosa indiscrezione legata a un documento a cui un gruppo di pimpanti bersaniani sta lavorando da qualche settimana per abbozzare – testuale – “un progetto per un nuovo Pd”.

    Un progetto che nelle intenzioni dei tre promotori del documento (Stefano Fassina, responsabile Economia del Pd, braccio destro di Bersani, membro della segreteria del partito; Matteo Orfini, responsabile Cultura del Pd, membro della segreteria del partito, e già braccio destro di D’Alema; e Andrea Orlando, responsabile Giustizia del Pd; ai quali nei prossimi mesi dovrebbero aggiungersi i segretari regionali del Pd, diversi governatori di regione e altri esponenti della segreteria dem) ha l’obiettivo esplicito di “riscrivere il Dna” del Pd, inserendone il percorso all’interno di un “nuovo scenario del progressismo europeo” e collocando l’orizzonte politico del partito sulla rotta di una “nuova vocazione maggioritaria”, libera dalle catene del dipietrismo e affrancata dalle derive del “neoliberismo”. 

    Ecco: questo per quanto riguarda il politichese stretto. Ma in concreto, di che cosa stiamo parlando? Punto primo, il core business del Pd. La storia è nota: in questa fase molto scivolosa della vita del Pd, tra tentazioni grancoalizioniste, strattonamenti sindacali e incontrollabili pulsioni ipermontiane, Pier Luigi Bersani, dovendo tenere insieme con una mano il sovra eccitato fronte super centrista e con l’altra il sovra irrequieto fronte ultra sinistro del Pd, spesso si ritrova costretto a esibirsi in spericolatissime acrobazie. Acrobazie utili, sì, a tenere insieme le due anime del partito ma destinate anche a far emergere sempre di più una sorta di crisi di identità dello stesso Pd. “Qui – ha segnalato qualche giorno fa con malizia uno dei pezzi pregiati dell’artiglieria bersaniana, Enrico Rossi, governatore della Toscana – il problema è chiaro: o la sinistra ritrova la sua identità o sarà fagocitata dalla svolta tecnocratica”.

    “Il punto – racconta al Foglio Matteo Orfini, che insieme con gli altri promotori presenterà il progetto per un nuovo Pd nel corso di un seminario a porte chiuse organizzato a Roma il primo marzo – è che non è pensabile che il Pd debba diventare una specie di Udc un pochino più di sinistra. Non è così. Non è più così. E per questo il nostro partito dovrà prepararsi alle elezioni contrapponendosi in modo chiaro al Ppe italiano, all’Udc più il Pdl, dimenticandosi ciò che è stato il ‘Lingotto’ e configurandosi sempre di più come fosse un grande Pse italiano: anche per portare a compimento il percorso che dovrà trasformare lo stesso Partito socialista europeo nella casa di tutti i democratici europei”.

    Per gli appassionati della materia, la traduzione del ragionamento è presto detta: un Pd che vede l’alleanza con Vendola prioritaria rispetto a quella con Casini e Di Pietro e che dovendo scegliere dove andare a pescare voti decide in modo deliberato di buttarsi non al centro (come suggeriscono gli ipermontiani alla Veltroni e alla Letta) ma un pochino più a sinistra. Un concetto, questo, che, in forme meno esplicite, è stato sfiorato nelle ultime ore prima da Bersani (che domenica scorsa ha detto: “La socialdemocrazia è stata una grandissima esperienza che come tutte le grandi esperienze deve essere rinnovata”) e quindi anche da D’Alema (che sull’ultimo numero di ItalianiEuropei ha scritto: “Se il centrosinistra si piazzerà dentro una nuova coalizione progressista ed europeista può candidarsi a guidare questa nuova fase”). “La verità – dice al Foglio Andrea Orlando – è che dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze per collegare l’esperienza del Pd a quella delle nuove forze progressiste alla Miliband e alla Hollande. Il nostro sogno è quello di aiutare il Pd a esprimere in modo compiuto la sua vocazione maggioritaria e per farlo oggi c’è solo una strada: far diventare il prima possibile il nostro partito il perno di una moderna e cazzuta sinistra europea”. 

     

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.