Perché la musica italiana ha ancora bisogno di Sanremo (e degli autori)
Partecipare per ventisette volte di seguito al Festival di Sanremo a qualcuno potrebbe sembrare un incubo. Per Piero Cassano, sessantaquattro anni, autore e produttore storico dell’industria musicale italiana, è l’unico modo per capire la storia della canzone italiana: “L’evoluzione di una kermesse come Sanremo permette di individuare la strada della musica italiana oggi”, dice Cassano al Foglio.
Partecipare per ventisette volte di seguito al Festival di Sanremo a qualcuno potrebbe sembrare un incubo. Per Piero Cassano, sessantaquattro anni, autore e produttore storico dell’industria musicale italiana, è l’unico modo per capire la storia della canzone italiana: “L’evoluzione di una kermesse come Sanremo permette di individuare la strada della musica italiana oggi”, dice Cassano al Foglio. E contro le polemiche che ogni anno fanno da preludio al festival, tacciato di essere un concorso antico, superato, noioso, Cassano tira fuori i nomi: “A partire da Domenico Modugno e da Tony Renis fino a Eros Ramazzotti, Laura Pausini, Andrea Bocelli, Sanremo ha bisogno di vedersi riconosciuto il merito di aver lanciato a livello internazionale dei grandi autori e interpreti italiani”.
Martedì inizia la sessantaduesima edizione del Festival della canzone italiana e Cassano, che dal 1974 scrive canta suona e arrangia i pezzi dei Matia Bazar, concorre con “E tu”. “Se c’è una cosa che rimpiango del vecchio Sanremo è l’attenzione che si dava agli autori delle canzoni”. E quello autorale è un problema non da poco, per Cassano, perché con l’avvento dei talent show, della multimedialità, dell’industria musicale moderna che si fa dettare l’agenda da trasmissioni come “X-Factor” e “Amici”, ormai le case discografiche fanno accordi diretti con le televisioni: “Tu prendi un cantante, anche un buon cantante, lo fai stare per tre mesi su un palco, gli dai il pubblico, gli metti dietro un team di autori, consulenti d’immagine, uffici stampa. Si abituerà agli applausi, ma non avrà imparato l’abnegazione, il mestiere di scrivere una canzone, la gavetta”. Cassano ricorda i tempi con Vito Pallavicini, Alfredo Rossi, Corrado Lojacono: “A metà degli anni Settanta andavo da Genova a Milano in treno ogni giorno per far ascoltare i pezzi che scrivevo ai colossi dell’editoria musicale di quei tempi, come Gianni Guarnieri o Giusta Spotti. La Spotti gran parte delle volte mi urlava: ‘Piero! La strofa fa cagare!’, e sul treno del ritorno ero già con la chitarra a trovare una strofa più adatta”.
Un mestiere che quasi non esiste più, quello del compositore, dell’autore, del paroliere, che allora era del tutto sganciato dalle richieste del mercato: “E’ necessario fare una riflessione su come stia cambiando l’industria musicale. La Siae dovrebbe proteggere la musica dall’illegalità dei download su Internet, ma sarebbe giusto rivedere anche le regole su piattaforme come iTunes”. Per Cassano, infatti, gli accordi diretti tra case discografiche e i siti di download legale di musica penalizzano i diritti di chi la musica la fa, i diritti per opera d’ingegno, creando un sistema “molto poco trasparente”.
“Sicuramente i format televisivi hanno deviato un pensiero che all’interno delle case discografiche avrebbe dovuto farsi strada”, spiega il musicista, “dando delle reali possibilità a un giovane, investendo su di lui, sulle sue capacità, investendo soprattutto sui cantautori, come Tiziano Ferro, Giuliano Sangiorgi”. Ma la maggior parte delle volte i talent show producono personaggi che “dopo essere stati spremuti” poi vengono abbandonati a loro stessi – per esempio Giusy Ferreri, “una voce unica” per Cassano, che nel 2008 partecipa a “X-Factor”, firma un contratto Sony Music, nel 2011 si opera per un polipo e su Facebook si sfoga lamentando di essere stata abbandonata dai suoi collaboratori. Discorso inverso per Marco Mengoni, un altro partecipante del talent show: “Hanno capito le sue qualità e hanno pensato soltanto dopo alla sua immagine”.
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