L'aria di Berlino

Mariarosa Mancuso

Nella tana della Merkel. Nel paese che considera Mario Monti il genero che ogni suocera sogna, affidabile e un po’ noioso (ipse dixit, prima di diventare “nonno Mario che fa le cose giuste” sul sito agiografico della presidenza del Consiglio). Nella Germania che chiede sacrifici alla Grecia e si è vista bruciare la bandiera in piazza Sintagma. A Berlino, dove nella terra di nessuno attorno al Muro svettano i grattacieli, prosperano i negozi con marchi famosi e sull’ultimo pezzo di terreno ancora libero sorgerà un gigantesco centro commerciale.

    Nella tana della Merkel. Nel paese che considera Mario Monti il genero che ogni suocera sogna, affidabile e un po’ noioso (ipse dixit, prima di diventare “nonno Mario che fa le cose giuste” sul sito agiografico della presidenza del Consiglio). Nella Germania che chiede sacrifici alla Grecia e si è vista bruciare la bandiera in piazza Sintagma. A Berlino, dove nella terra di nessuno attorno al Muro svettano i grattacieli, prosperano i negozi con marchi famosi e sull’ultimo pezzo di terreno ancora libero sorgerà un gigantesco centro commerciale.

    La Berlinale inaugurata ieri segue i suoi riti. Ormai son pochi (per la maggior parte italiani) a rimpiangere il vecchio Zoo Palast nel settore ovest. Giovani, giovani e ancora giovani – il Muro l’hanno visto a malapena – affollano i multiplex di Potsdamer Platz. L’efficienza tedesca moltiplica le proiezioni, il portiere dell’Hotel Adlon (ora Adlon Kempiski) sfoggia il cappottone con doppia mantellina, come se da un momento all’altro dovesse dare il benvenuto a Greta Garbo. O a Billy Wilder, che in gioventù faceva il ballerino a pagamento per signore ricche, prima di darsi al giornalismo. E si godeva uno dei centri europei del divertimento. I berlinesi hanno ripreso a farlo, tra magnifiche terme cittadine, locali modaioli e alternativi, gallerie d’arte, teatri, sale da concerto e cabaret, una metropolitana che la notte di venerdì e sabato non chiude. Mai capitale è apparsa più lontana dal resto del paese rigido e precisino, consentita la sbronza di birra solo il sabato sera.

    Ci fosse un metal detector all’entrata delle sale, suonerebbe di continuo per i piercing e gli anfibi chiodati (ieri una biondina, per il resto insignificante, aveva il lobo dell’orecchio perforato da un gioiello eccessivo perfino nell’Africa tribale). Non c’è, e neppure perquisiscono borse e zaini alla ricerca di gadget utili a piratare i film, come ormai succede in qualsiasi anteprima milanese. Alla fine della proiezione, parte l’educata conversazione con il regista (noi siamo già scappati alla ricerca di un’altra sala e di un altro titolo promettente). Le code al gelo per l’acquisto dei biglietti sono un ricordo: si fa tutto su Internet, qui il wi-fi regna sovrano. Il tutto esaurito – anche nelle proiezioni mattutine, ma che lavori fanno? – rimane di rigore.

    Il folletto maligno che governa il programma festivaliero ha riunito in apertura storie attorno alla pena capitale. Ghigliottina per Maria Antonietta nel film in concorso di Benoît Jacquot “Les adieux à la Reine”. Iniezione letale per i prigionieri di “Death Row”, il documentario di Werner Herzog (proiettato mercoledì per la stampa, il pubblico lo vedrà il 13) che fa da seguito a “Into the Abyss” visto al Torino Film Festival. Sei anni dopo la capricciosa “Marie-Antoinette” di Sofia Coppola, il regista francese racconta gli ultimi giorni della regina a Versailles, con l’occhio spietato delle sue cameriere. Gondolieri finti veneziani, ricamatrici, la giovane lettrice Sidonie Laborde assistono alle scene di panico (e al “mangino brioches”, la sovrana sembra più interessata alla nuova acconciatura e al nuovo vestito) che seguono la presa della Bastiglia. I gioielli sono estratti dalle montature, per essere trafugati più facilmente. Una controfigura vestita come la regina, a bordo della carrozza reale, potrebbe ingannare il popolo furioso.
    “Un dramma storico con riferimenti al presente”, leggiamo sul programma ufficiale del festival. Nei momenti morti di un film che alterna scene astute e bignamini storici, scattano le domande cattive. L’hanno scritto pensando a Angela Merkel? O avevano in mente Nicolas Sarkozy con Carlà?