I due attentati simultanei
La frontiera tra Israele e Iran ora passa per Baku (viaggiano spie e bombe)
Tre gennaio, Sofia, in Bulgaria, una bomba sull’autobus che avrebbero dovuto portare una comitiva di turisti israeliani verso una località sciistica. Tredici gennaio, la polizia thailandese arresta a Bangkok un libanese con passaporto della Svezia che confessa di essere in missione per colpire cittadini israeliani in vacanza e indica il nascondiglio di quattro tonnellate d’esplosivo.Una settimana più tardi, il ministero della Sicurezza dell’Azerbaigian arresta tre uomini.
Tre gennaio, Sofia, in Bulgaria, una bomba sull’autobus che avrebbero dovuto portare una comitiva di turisti israeliani verso una località sciistica. Tredici gennaio, la polizia thailandese arresta a Bangkok un libanese con passaporto della Svezia che confessa di essere in missione per colpire cittadini israeliani in vacanza e indica il nascondiglio di quattro tonnellate d’esplosivo. Una settimana più tardi, il ministero della Sicurezza dell’Azerbaigian arresta tre uomini: anche loro preparavano attentati contro obiettivi israeliani, il centro rabbinico e l’ambasciata nei giorni della visita del capo di stato maggiore Ben Gantz. Ieri, altri due attentati. A Nuova Delhi, in India, una bomba magnetica applicata da un motociclista all’auto dell’attaché militare dell’ambasciata israeliana ha ferito sua moglie. Una seconda bomba è stata trovata e fatta detonare a Tbilisi, capitale della Georgia, sotto l’auto usata dal console.
Le due bombe sono una citazione tra professionisti in grado di riconoscerla: il tipo e la tecnica sono le stesse utilizzate nella catena di attentati a Teheran contro gli scienziati che lavorano al programma atomico dell’Iran. In India l’antiterrorismo conferma di non averne mai visto una simile prima, “di solito sono più rudimentali, un tubo, un innesco e via”. Il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, accusa esplicitamente il governo dell’Iran di essere il mandante dei due attentati. Il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, dice: “Sappiamo esattamente chi è stato”. I primi tre dei cinque attentati sono stati sventati dalle polizie locali grazie a segnalazioni dei servizi di sorveglianza di Israele, che evidentemente provano a controllare gli spostamenti degli agenti nemici anche quando sono lontani dal teatro tradizionale di minaccia, in posti dove gli israeliani sono più esposti. Questa serie di attacchi 2011 ha due moventi, ugualmente forti e che non si escludono: la vendetta per l’uccisione a Damasco il 12 febbraio 2008 di Imad Mughniyeh, capo militare di Hezbollah – con una carica esplosiva nascosta nel poggiatesta del sedile in macchina –, due giorni fa era il quarto anniversario e il movimento libanese non ha mai smesso di promettere una ritorsione; e la vendetta per la serie di sabotaggi e di assassinii che sta ritardando il programma nucleare dell’Iran, l’ultimo l’11 gennaio. Undici, dodici, tredici: la coincidenza delle date può fare parte della sfida muta tra i due servizi segreti, quello israeliano e quello iraniano.
Teheran ha un motivo più ampio delle semplici ricorrenze per spingere con gli attentati: vuole tornare a proiettare verso l’esterno l’idea di potenza e di pericolosità, a dispetto dei sabotaggi spettacolari subiti sul proprio territorio negli ultimi mesi, della parabola terminale dell’alleato siriano, della crisi monetaria asfissiante. Che è la stessa ragione che spinge il governo a una politica di annunci traumatici come la chiusura della rotta del greggio attraverso lo Stretto di Hormuz.
Si può risalire nel tempo ancora più indietro con le rappresaglie: nel 2008 fu sventato un primo attacco in Azerbaigian, per vendicare a caldo la morte di Mughniyeh; nel 2009 uscì la notizia di una strage andata a vuoto in un non meglio specificato paese europeo; nel maggio del 2011 un’altra bomba esplose a Istanbul, in Turchia, era diretta contro il console israeliano, ma ferì sei passanti.
Queste operazioni esterne hanno trovato il nuovo centro di gravità a Baku, capitale dell’Azerbaigian, paese islamico moderato, alleato di Israele e Stati Uniti, non per nulla teatro di due tentati attacchi. A poca distanza verso sud c’è il confine aperto con l’Iran e un viavai di uomini e merci poco controllato. Sabato un’intervista densa a un agente del Mossad, “Shimon” sul Times di Londra rivelava che il paese è diventato il primo territorio per raccogliere intelligence sull’Iran: “La nostra presenza qui è silenziosa ma sostanziosa e in aumento. Qui siamo molto vicini. E’ un paese meravigliosamente poroso”. Ci sono anche uomini delle Guardie rivoluzionarie, “ci guardano mentre li guardiamo”. Domenica Teheran ha convocato l’ambasciatore azero per protestare ufficialmente “contro le attività del Mossad” nel paese confinante, usato come base di partenza, dice la nota di protesta, anche per l’uccisione a gennaio dello scienziato Mostafa Ahmadi Roshan a Teheran. Due settimane dopo, una cellula di iraniani, armata con pistole, esplosivo al plastico e un fucile di precisione russo Dragunov Sdv è stata arrestata dagli azeri prima dell’arrivo del generale israeliano Benny Gantz.
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