L'eccesso di prevenzione

Stefano Di Michele

Oh, la neve! Oh, il ghiaccio! Oh, il freddo! Il disastro! La catastrofe! Allarme, allarme, allarme! Pompieri, esercito, polizia, carabinieri, volontari – uomini di scienza e di fatica, facchini e affini e collaterali, Protezione civile e protettori incivili, monache e volontari, inquilini, coinquilini, casiliani! Al soccorso! All’aiuto! Al salvamento! Cade, la neve, soffice e mignottesca cade, bella e traditrice, bianca e assassina. Cade la neve, oh se cade! E un urlo, un gemito, uno strillo perenne si leva.

    Oh, la neve! Oh, il ghiaccio! Oh, il freddo! Il disastro! La catastrofe! Allarme, allarme, allarme! Pompieri, esercito, polizia, carabinieri, volontari – uomini di scienza e di fatica, facchini e affini e collaterali, Protezione civile e protettori incivili, monache e volontari, inquilini, coinquilini, casiliani! Al soccorso! All’aiuto! Al salvamento! Cade, la neve, soffice e mignottesca cade, bella e traditrice, bianca e assassina. Cade la neve, oh se cade! E un urlo, un gemito, uno strillo perenne si leva. Così che le tragedie vere di questi giorni – i morti, innanzi tutto – si sommano a una ridicola isteria collettiva. E si fronteggia la neve (allarme neve! allarme!) così come l’estate scorsa si fronteggiavano le zanzare (allarme zanzare! allarme zanzare! tigre, nello specifico) e il solleone a luglio, con i tiggì che adesso giustamente mandano i cronisti a gelarsi le chiappe per svincoli autostradali e centri storici – da studio: com’è la situazione lì al Circo Massimo? e in risposta: qui la situazione è drammatica!, ci sono mica i leoni che azzannano i cristiani? e intanto si vedono bimbi con lo slittino, perdigiorno vari, vecchie carampane impellicciate che sfidano gelo e ridicolo. Certo che ci sono situazioni drammatiche – ma a forza di far diventare dramma tutto, la bufera che lascia a terra due metri di neve e la pernacchia che ne stende dieci centimetri, si finisce col vivere in un perenne allarme e in una perenne finzione. Dove pure il normale freddo di questa stagione fa il primo titolo alla principale edizione del telegiornale serale. “Italia nella morsa del gelo”: una bella rottura di coglioni, ma se il titolo fosse stato, a inizio febbraio, “Italia nella morsa della siccità”, allora sì che c’era da stupirsi. O magari neppure in quel caso. E infatti ecco che saltano fuori comunicati di dieci o quindici giorni fa, che esattamente questo dicevano. Esempio: martedì 17 gennaio si poteva leggere: “Allarme siccità nelle Marche, situazione difficile” – adesso stanno sotto due metri di neve; lunedì 23 gennaio: “Allarme siccità in Umbria, mancanza piogga e neve compromette irrigazione” – adesso siamo all’eccesso di grazia. Parole definitive e assennate – versi, nello specifico, seppur non memorabili – sono quelle pronunciate durante “Che tempo che fa” da Luciana Littizzetto, che dovendo (incautamente) fronteggiare una precedente lettura di poesie di Wislawa Szymborska da parte di Roberto Saviano, ha ben deciso di farsi pragmatica: “Nevica / Nevica sui tetti di Milano / nevica sulla testa di Saviano / Nevica sui tetti di Torino / nevica sulla testa di Fassino (…) / Nevica sui tetti di Volterra / se ne andasse a fanculo l’effetto serra”. Meglio non si poteva dire.

    O forse sì. E guarda se le meglio soddisfazioni debbono arrivare tutte da casa Fazio. Dove hanno – essendo appunto questa la missione iniziale: far sapere “Che tempo che fa”, sole o pioggia o coperto – un apposito meteorologo, Luca Mercalli, perfetto aplomb da meteorologo ambientalista-democratico, di vasta competenza, di barba e farfallino munito. Che  sul Fatto grandina sul birignao dell’esagerato allarmismo, della lagnetta sulla crostina di ghiaccio, del lamento sul cumulo di neve. A Roma, in particolare, zona centro – appunto, colleghiamoci con la nostra inviata al Circo Massimo (inviata, nientemeno: e se dovevano spostarsi sui Castelli Romani chi chiamavano, Oriana Fallaci?). E perciò, a parte un paio di badilate sulla capoccia di Alemanno (ormai detto: un uomo, una pala), Mercalli ha spiegato in maniera esemplare: a) “Il caos a Roma è successo anche perché la gente si è comportata come se nulla fosse. E invece quando c’è la neve si scivola. Punto”. b) “Mi sembra che si voglia rimanere nella normalità anche quando la situazione normale non è”. c) “Se nevica mi metto gli stivali, non i tacchi a spillo”. d) “Se sei uscito in macchina è ovvio che stai in coda: non dovevi prenderla, la macchina”. e) “Invece che piova, che faccia vento, che ci sia il terremoto, dicono: io esco col mio Suv che mi hanno detto che posso fare tutto, tanto io ce la faccio, io speravo che me la cavo”. f) “Non possiamo togliere ogni fiocco di neve che cade a terra. Non possiamo spendere milioni di euro per levare una cosa che presto se ne andrà da sola”. Impeccabile. Tale e quale  Michele Serra su Repubblica – impegnato a lanciare palle di neve contro la petulante convinzione che tutto ciò che voglio fare debbo poter fare. “Muoversi, spostarsi continuamente, viaggiare è una facoltà. Un vantaggio dei tempi. Ma non un diritto”. E annota sul “sovrappiù di ira e di stizza che discendono dall’illusione che tutto sia diventato facile, disponibile, agevole, così che al primo ostacolo cominciamo a inveire contro il governo ladro o il sindaco scemo o la Protezione civile inetta”. Così, a meraviglia, le cose più sagge – contro la fobia da eccesso di principio di precauzione (tutt’uno con l’eccesso di allarmismo), che ci fa tutti un po’ finti malati e un po’ finti sani, all’inseguimento di teorie e scemenze mediatiche, come secoli fa con gli sciamani, tra oroscopi che dovrebbero assicurarci la felicità e bislacche convinzioni che questa felicità dovrebbero rendere operativa – a sinistra si sono sentite. Solo un minimo di misura – così da distinguere tra vero allarme e personali paranoie.

    Non che si faccia molto, in questo senso. Se adesso è il turno della nevicata – con temerari collegamenti magari da piazza di Spagna – basta ripensare al recente terremoto al nord. Qualche cornicione se n’è andato, un po’ (o molto) di comprensibile spavento, niente di più. Beh, prendete la situazione di uno tappato in casa con l’influenza – a far zapping da un canale all’altro, con quei tiggì che ormai stanno vigili e in onda h. 24, manco fossero carabinieri o poliziotti. E ventiquattr’ore – senza manco una sciagura da spalmare da sera a sera – non passano mai. Così, il medio terremoto si mutava, col passare del giorno, in una sorta di iradiddio, pareva quello dell’isola di Rodi che sprofondava il Colosso della stessa. Inviati sbattuti a visionare lesioni più o meno rilevanti, stalle sociali con bestie spaventate, pensionati decisi a non rimettere piede in casa. Memorabile scena: da uno di questi tiggì – dopo aver saggiato il dilagante terrore in tutta la Pianura padana – chiamano Bologna. “Sentiamo il nostro corrispondente”. Il quale corrispondente non aveva niente da dire. “Qui nessun problema, eravamo in riunione e quasi non ce ne siamo accorti…”. Non se ne sono accorti? E cosa stavano facendo, zuppetta nel cappuccino? Così al corrispondente il terremoto glielo devono aver fatto sentire in differita. Dopo una mezz’ora, rieccolo al telefono: “Molta paura e panico anche qui a Bologna…”. Ah, ecco: stringete il culo e state in allerta anche voi da Perugia in giù…

    Ci danneremo prima l’anima, e poi forse moriremo, per l’eccesso del principio di  precauzione che ormai fa capolino da ogni parte della nostra esistenza. Sappiamo molto, vogliamo sapere tutto, e più ancora – per poi struggerci in paura e panico per  le cose apprese. Avete sfogliato mai quei terrificanti inserti sulla salute dei quotidiani? Una roba che, finita la lettura, un principio di rigor mortis lo avverti comunque. Si comincia scrutando qualche titolo, e ci si sente ancora se non in ottima almeno in passabile salute. Si fa conto di finire l’anno, forse il decennio, magari, a voler esagerare, fino a battere il record dell’età pensionabile fissato dalla Fornero. Insomma, si tira avanti. Una certezza che, a lettura terminata, non esiste più. Come nei romanzi dell’orrore – dove porte cigolano, fantasmi ansimano, passi risuonano – a forza di leggere di quel sintomo e di quell’altro e di quell’altro ancora, il sospetto si fa possibilità, un principio di tumore alla pelle, la probabilità di infarto repentino, un doloretto che promette poco di buono nell’intestino, bene che vada la certezza di un attacco emorroidale alle porte, minimo una situazione di stress che non sapevi di avere, attacchi di panico a partire da domani mattina. E’ la continua abbuffata di informazione, diciamo scientifica, sui giornali, sulle riviste, in rete, in televisione, che crea una massa quasi illimitata di potenziali malati. Immaginari – certo, e si spera, ma intanto malati che si tastano, che si visitano, che si angosciano. Alla ricerca di continue rassicurazioni, s’inciampa in continue nuove paure – così che gli attacchi di panico (credi di soffocare, di stare per schiattare, senti il cuore che va) sono l’unica salda certezza rimasta dell’antico buonumore che fu. Per le donne molto si discute di vaginismo, “avverti una sensazione di sofferenza durante l’atto sessuale?”, oppure “Ictus, i pessimisti rischiano di più”, o anche “Attenti al fumo. Rimbecillisce!”, medicalmente apparentato con “Il fumo favorisce il declino cognitivo”. Inoltre, “Il tè verde riduce il rischio di disabilità”, “Tumore alla gola in aumento a causa del sesso” (ohibò, chissà per quale pratica), “Grasso, sulla pancia è peggio”, “La stipsi, ecco come affrontarla” (più o meno, si suppone, se un lassativo assiste,  al solito posto), “L’andrologo: la ‘goccia del buongiorno’ è un’infezione dell’uretra”.

    Persone che fino al precedente inserto erano sane come pesci, di colpo si ritrovano ad affollare ambulatori, a raccontar malanni a ogni cena, ad accendere saggiamente ceri in ogni chiesa che incrociano. A forza di voler sapere tutto – e tutto non solo su ciò che in realtà uno ha, ma anche su ciò che potrebbe avere – niente si tiene più sotto controllo. C’è persino una scheda – “Ricerca malattie da sintomi”, dove si inserisce un sintomo e ci si svela di quale male soffriamo: “Per trovare la malattia partendo dai sintomi compila il modulo inserendo almeno un sintomo. Potrai inserire un massimo di cinque sintomi per arrivare a una migliore definizione della malattia”. Si cercano intanto – ossessionati su come preservarci da tutto – consolazioni e soluzioni. “Combattere il cancro a tavola. La ricetta: il castagnaccio”. “Le ricette anti cancro: fagioli neri con verdure”. “Lotta contro il tumore a passo di danza”. Si fanno avanti continuamente nuove questioni. “Come si diventa (più) intelligenti. Basta tenere allenato il cervello. Noi vi sveliamo cinque modi facili” (e cazzo, cinque modi facili per diventare più intelligenti dovrebbero essere la scoperta del nuovo Millennio). “Memoria di ferro in quattordici mosse”. “Il latte è meglio del… Sudoku” – e si conviene, “Il latte aiuta la memoria”. Ecco: “Altro che bella stagione. Esiste la depressione estiva” – e ovviamente, con altrettanta certezza, fate conto pure su quella invernale. Inoltre: “Un italiano su due soffre di stress” – dopo certi approfondimenti, almeno due italiani su tre. Si scivola sempre più nell’incomprensibile – umanamente, ché con dottrina son capaci di rendere comprensibile tutto. Così: “I termosifoni ingrassano”. E che cazzo, proprio adesso, a gelo e neve imperanti, uno deve venire a scoprire una cosa del genere? “Uno studio inglese ha dimostrato che per evitare di ingrassare è fondamentale non tenere i riscaldamenti di casa troppo alti”. Fondamentale, addirittura.

    Si sprecano i consigli per dimagrire – genere: “Evitate, almeno durante i pasti la compagnia di amiche magrissime, che mangiano tanto e non ingrassano…”. “Mangiate in compagnia di un uomo: davanti a loro cerchiamo sempre di dare l’impressione di avere lo stomaco di un uccellino” (però: a) prima bisogna trovare il poveretto disponibile a desinare con una simile quaglia intenzionata a farsi fringuello, b) le amiche, di solito, danno l’impressione di avere lo stomaco di un camionista: prendo un po’ di cervelletto fritto, scusa, eh; mi farei volentieri un pezzo d’abbacchio… A quelle, assatanate, se mai  dovesse capitare tra le mani l’uccellino di cui sopra, lo strozzano e lo mettono direttamente nel piatto). E sentite questa: “Dormite a luce spenta: un esperimento effettuato su dei topolini ha provato che le luci di computer o del televisore potrebbero farci ingrassare fino al 50 per cento in più...” – facile che il roditore, obeso ma sveglio, abbia preso per culo l’intero staff di ricercatori, satollando di nascosto di parmiggiano e pecorino (ma poi, che ricerche fanno? saranno mica questi i famosi cervelli italici fuggiti all’estero?).

    Poi, di precauzione in precauzione, ci sono quelle alimentari. Il tunnel del bio, mica a caso: una volta entrati, non se ne esce più. Una mestizia che stringe il cuore, donne di casa disposte ad attraversare l’intera città, da Porta Pia a Tor Marancia, per un chilo di fettine bio, manco la borsa nera nei giorni di guerra, corsi bio, esaltazione bio, proclama bio – ’sto pane non è bio! l’ovetto l’hai preso bio? – poi, sfiancati, attrippata al ristorante cinese, sei euro per satollarsi di roba che bio non dev’essere stata neanche negli anni di Mao, ma a quegli dovrebbe risalire. E ovviamente c’è da abbinare al cibo bio il vino biodinamico – che fa, i cento metri a tavola? Precauzione per precauzione, ecco che una sera si materializza in casa la patita di “astrocoaching” – quale “nuova disciplina che combina il sapere astrologico con le tecniche utili al raggiungimento di un particolare obiettivo nella sfera privata, professionale, spirituale o sociale”, e si intuisce che è meglio non chiedere dettagli, né opporre razionali argomentazioni. Di solito in compagnia di un altra figura metropolitana di gran  periglio: la patita di Feng Shui, “la casa è un corpo vivente”, che comincia a raccattare fiori secchi, cose puntute – fanno male! – il letto che si dovrebbe spostare in mezzo alla porta, non si entra più in camera, ma vuoi mettere il giovamento? Gli specchi che cominciano a ruotare (come altre cose) tra bagno e corridoio. Si legge che “secondo i dettami dell’arte Feng Shui, la casa ideale è situata a metà di una collina, con alle spalle, sempre rivolte verso nord, un bosco di conifere” – praticamente, l’unica ad avere la casa ideale è Heidi, e le caprette fanno ciao.

    Passerà anche la neve (intanto, in campana: “Attenti al cuore se arriva la neve da spalare”), torneranno gli allarmi per il caldo – allarme siccità, sopravvissuti se Dio vuole al congelamento, saremo destinati allo squagliamento – con i soliti illuminanti consigli: state all’ombra, bevete acqua, non uscite sotto il sole, che ogni mezzadro un minimo allertato conosce meglio di ogni prof. che andrà a ripeterli, con aria scientifica e solenne, in televisione. Intanto, pala in spalla e a spalare – se il cuore regge, se la neve insiste, se il gelo resiste. E come cantava Franco Battiato, “copritevi che fa freddo, mettetevi le galosce”.
    Ps: a vagare, s’incontra pure la storia – vera? falsa? non son domande da scavo in rete – di un contadino colombiano che, da  fede animato e alla moglie fedele, pur di mettere in pratica i consigli di san Matteo su come non cadere in tentazione, ha preso una lametta e si è asportato i testicoli. Ma questo, sia pure come eccesso di prevenzione, pare decisamente eccessivo.