Calci paralleli
Tesser, Mondonico e la storia delle smorfie di Moratti
Allenatori differenti, esito identico: se all'andata Tesser aveva reciso l'ultimo filo che teneva unito Gasperini all'Inter, stavolta tocca a Mondonico picconare la panchina di Ranieri. Un destino che si deciderà in due partite, se si interpretano in maniera corretta le smorfie di Massimo Moratti in tribuna e i suoi silenzi nell'immediato dopopartita, a sottolineare la precarietà di impronta zampariniana che intesse nuovamente i destini nerazzurri dopo la solidità dell'epoca Mancini-Mourinho.
Allenatori differenti, esito identico: se all'andata Tesser aveva reciso l'ultimo filo che teneva unito Gasperini all'Inter, stavolta tocca a Mondonico picconare la panchina di Ranieri. Un destino che si deciderà in due partite, se si interpretano in maniera corretta le smorfie di Massimo Moratti in tribuna e i suoi silenzi nell'immediato dopopartita, a sottolineare la precarietà di impronta zampariniana che intesse nuovamente i destini nerazzurri dopo la solidità dell'epoca Mancini-Mourinho. Claudio Ranieri era consapevole di tale precarietà su cui ha poggiato la sua storia recente, ma non immaginava di dover arrivare al dunque in così breve tempo. Da altre parti il primo anno, almeno, filava via bene. Al Parma, come alla Juventus, come alla “sua” Roma. Il secondo è sempre stato un problema, piuttosto. In Emilia non lo affronta, congedandosi dopo la salvezza. A Torino lo cacciano quando è ancora terzo a due giornate dalla fine, al giallorosso dice addio dopo aver visto i suoi perdere 4-3 a Genova una partita che stavano vincendo 3-0: un particolare oggi parecchio interessante per le procure che indagano sul calcioscommesse. Nessuno si meraviglia quando Moratti lo chiama a settembre. Ranieri è l'"aggiustatore", uno che sa allestire un eccellente pranzo con gli avanzi del giorno prima. Quelli interisti sono di gran classe, ma pur sempre avanzi: vanno bene per l'immediato, non soddisfano a lunga distanza. I limiti emergono dopo una rincorsa vincente che inganna un po' tutti, Moratti per primo: il derby illude, ciò che segue (un punto in quattro partite) riporta alla realtà. E alla precarietà.
Una precarietà che Emiliano Mondonico ben conosce, anche se la sua attiene la vita, non la professione. La parabola si apre e si chiude nel 2011, tra gennaio e novembre: prima l'annuncio di dover lasciare per combattere un tumore all'addome, quindi la proclamazione della vittoria. Ma in mezzo – a giugno – c'era stato il saluto all'AlbinoLeffe appena ritrovato e salvato. Un congedo drammatico, per sottoporsi a un altro ciclo di cure dovuto al riaffacciarsi del male: . Parole che colpiscono con forza il mondo del calcio, soprattutto Attilio Tesser: non ha rapporti stretti con il collega, ma gli telefona per sapere come sta. Mondonico non dimentica. E racconta con affetto l'episodio quando il Novara lo chiama per sostituire proprio Tesser e tentare l'impresa impossibile, resa più difficile dall'ostilità di tifosi grati a chi aveva riportato la squadra in serie A dopo 55 anni. "Perché Novara?", "perché non mi ha chiesto come stavo…", è la maniera in cui Mondonico spiega la scelta, sottacendo però la sottile soddisfazione di tornare in un campionato da cui era stato allontanato sette anni fa. Lo ritrova in età da pensione e con idee che affondano le radici nel passato: in un nuovo mondo esaltato da possesso palla e aggressività, lui conquista San Siro con un catenaccio-contropiede che avrebbe fatto godere da matti Gianni Brera. Per ricordarci che il calcio non è una scienza esatta ma lo sport dove più facilmente Davide può battere Golia.
Il Foglio sportivo - in corpore sano