Così si aggredisce il debito senza reticenze ma con intelligenza

Stefano Cingolani

L’asta dei Btp triennali è andata bene, nonostante il declassamento di Moody’s: la domanda ha superato l’offerta e i 4 miliardi di titoli sono stati collocati al 3,41 per cento, ai livelli di aprile 2011. Calano anche gli interessi sui buoni quinquennali, mentre quelli a dieci anni destano più preoccupazione. La tempesta s’allontana, ma non è ancora tempo di quiete. Semmai, è il momento di passare alla seconda fase dell’operazione risanamento, quella che prende di petto il debito. Come?

    L’asta dei Btp triennali è andata bene, nonostante il declassamento di Moody’s: la domanda ha superato l’offerta e i 4 miliardi di titoli sono stati collocati al 3,41 per cento, ai livelli di aprile 2011. Calano anche gli interessi sui buoni quinquennali, mentre quelli a dieci anni destano più preoccupazione. La tempesta s’allontana, ma non è ancora tempo di quiete. Semmai, è il momento di passare alla seconda fase dell’operazione risanamento, quella che prende di petto il debito. Come? La via maestra resta la crescita. E tuttavia il fardello debitorio sterilizza ogni stimolo di natura fiscale, basti pensare che spendiamo per interessi 4,5 punti di prodotto interno lordo ogni anno. Riprende quota la discussione su una terapia choc per tagliare l’immenso stock accumulato pari a 1.900 miliardi di euro. Ci sono varie proposte, ma misure straordinarie hanno vita breve, spiega al Foglio Paolo De Ioanna, se non s’affronta la causa prima, cioè la spesa pubblica. L’economista conosce bene il mostro di cui parla: è stato capo di gabinetto di Carlo Azeglio Ciampi e di Tommaso Padoa-Schioppa al ministero del Tesoro, a lui si deve il progetto di spending review che Piero Giarda sta rilanciando. Si tratta di entrare nel merito delle voci di spesa, perché “la via peggiore è quella di procedere con tagli lineari”.

    De Ioanna riconosce la difficoltà principale: per farlo ci vuole un’amministrazione efficiente, e tuttavia se l’amministrazione fosse davvero efficiente non ci sarebbe bisogno di una spending review. Un circolo vizioso già analizzato dall’economista svedese Gunnar Myrdal. “Esistono, però, intelligenze ed energie che attendono di essere rimesse in moto”: è questa la grande scommessa. De Ioanna, insieme a Marcello Degni ha appena pubblicato un libro, “La voragine” (Castelvecchi editore), che mette in guardia da formalistiche illusioni come il pareggio del bilancio nella Costituzione, la “golden rule” prevista dal Fiscal compact europeo, “un vincolo cartaceo e ragionieristico”. Meglio dotarsi di strumenti di controllo seri, per esempio un organismo parlamentare tipo il Congressional budget office americano. E soprattutto infilare le mani negli ingranaggi.

    Quali? L’ex Bankitalia Pierluigi Ciocca mette nel mirino la voce acquisti di beni e servizi. Si tratta di 30-40 miliardi di euro nei quali si annida di tutto e di più. Di grasso ce n’è un bel po’ da tagliare, conviene De Ioanna. Non solo matite e fogli protocollo, basti pensare alla spesa farmaceutica. E i dipendenti pubblici? Saremo costretti anche noi a licenziarli come in Grecia? “Non credo a misure indiscriminate. Piuttosto occorre un piano industriale. Bisogna affrontare la Pubblica amministrazione come fosse un’azienda, stabilire gli obiettivi e rapportare a essi le risorse”. Tuttavia, la mobilità in uscita non deve valere solo per gli operai. “Preferirei che ci fosse lavoro per tutti, nel caso degli statali credo che occorra mobilità da un posto all’altro, anche sul piano territoriale”. Esiste, però, anche un problema salariale, negli ultimi dieci anni c’è stata una redistribuzione del reddito a scapito dei lavoratori dell’industria. Anche per ragioni politiche. “Il pubblico impiego ha più garanzie, quindi più forza corporativa. Certo, la moderazione retributiva resta fondamentale”.

    La spending review per De Ioanna è determinante in settori come la sanità. Abbiamo un livello di spesa sul prodotto lordo comparabile alla Francia e alla Germania, ma un’efficienza e una qualità dei servizi inferiore. Senza contare le disparità regionali. Il criterio dei costi standard al posto della spesa storica è solo l’inizio di una correzione. Tuttavia le cure mediche rispecchiano le contraddizioni di un decentramento mal realizzato. E fanno sorgere interrogativi inquietanti su cosa potrà accadere con il federalismo fiscale. Una revisione a fondo va fatta sugli incentivi industriali che “sono serviti in alcuni casi per patrimonializzare le imprese, ma hanno avuto scarsi effetti in termini di innovazione e crescita. Una riflessione che ci porta al problema dei problemi – aggiunge De Ioanna – Dobbiamo darci un’idea di sviluppo, di noi stessi e della nostra posizione in Europa. Adottando un principio di realtà, sapendo cosa siamo e dove siamo arrivati”.