Il matriarcato soul ha perduto Whitney, ora riacciuffi almeno sua figlia

Annalena Benini

La figlia saliva sul palco con lei ai concerti, aveva pochi anni, bei vestiti da brava bambina con i codini, una volta in Polonia si gelava e stava con il cappotto e un berretto rosso. Sorrideva, sdentata. mentre Whitney Houston cantava, ballava (con la voce sempre meno sorprendente e con occhi sempre più annacquati) e Bobbi Kristina le stringeva la mano. Aveva cinque anni e già sapeva tenere il microfono in mano, cantarci sopra, ballare al ritmo di sua madre.

    La figlia saliva sul palco con lei ai concerti, aveva pochi anni, bei vestiti da brava bambina con i codini, una volta in Polonia si gelava e stava con il cappotto e un berretto rosso. Sorrideva, sdentata. mentre Whitney Houston cantava, ballava (con la voce sempre meno sorprendente e con occhi sempre più annacquati) e Bobbi Kristina le stringeva la mano. Aveva cinque anni e già sapeva tenere il microfono in mano, cantarci sopra, ballare al ritmo di sua madre. La guardava dal basso verso l’alto, con gli occhi pieni di ammirazione e stupore per le pellicce lunghe fino ai piedi, il trucco, quelle ciglia fantastiche, i denti bianchissimi, stava dritta e fiera per tutta quella gente sotto il palco, lì ad ascoltare Whitney Houston, una dea, sua madre. Quella bambina (tenuta in braccio, a un anno, anche mentre Whitney riceveva uno dei suoi numerosi Music Awards, entrambe vestite di bianco, la piccola che cercava di giocare con il microfono, Whitney che rideva e le diceva: non si fa, piccola) era la continuazione perfetta, la celebrazione del matriarcato soul, potenza di un gruppo prodigioso di donne abituato a costruire stelle, a lavorarci sodo.

    La madre di Whitney, cantante gospel, la madrina di Whitney, Aretha Franklin, la cugina di Whitney, Dionne Warwick. E prima di loro le loro madri, le zie, le sorelle. Si tramandavano la voce, la passione, le canzoni, si contaminavano con la voglia di essere applaudite, si accompagnavano a vicenda nei locali notturni e nelle chiese, le bambine sempre dietro le mamme, come Bobbi Kristina con la sua. Whitney diceva a sua madre: “Mamma, io sarò una star e tu non avrai più bisogno di niente, mi prenderò io cura di te”. Forse l’ha fatto, di certo non è stata in grado di prendersi cura di sé. Molti anni dopo c’era sempre Bobbi Kristina con Whitney Houston alla vigilia dei Grammy, l’aria da cattiva ragazza con i capelli stirati, diciotto anni e molte foto mentre tira cocaina alle feste e i rotocalchi che titolano: “Sono come mia madre”. Stavano insieme, anche entrambe strafatte, stavano abbracciate nei locali, all’arrivo in aeroporto, negli ultimi fallimentari concerti di Whitney Houston. Sua figlia la sorreggeva mentre lei camminava barcollando, ma era sempre fiera di lei e appiccicata a lei.

    Adesso Bobbi Kristina è stata portata in barella in ospedale, hanno paura che si uccida e le hanno impedito di vedere il corpo di sua madre. Non ci sono uomini importanti in questa storia (il padre di Whitney è morto chiedendole cento milioni di dollari anche in ospedale: “Dammi i miei soldi e ritiro la denuncia” sono state le sue ultime parole, quel rottame di Bobby Brown, ex marito di Whitney Houston, ha avuto un ruolo rilevante nella distruzione, con le botte, la droga e l’invidia per una moglie più brava e famosa di lui, ma è una parte che funziona soprattutto nel racconto della devastazione e nella leggenda di una donna perduta a causa dell’uomo sbagliato perché, come ha scritto Guia Soncini sull’Unità, “la responsabilità individuale non è una cosa che siamo disposte a calcolare”, e ci piace pensare che l’amore venga prima di tutto, perfino prima dell’incapacità di vivere). Loro erano tutte femmine, tutte forti, tutte battagliere, tranne una, la più fortunata, la più infelice. Il matriarcato d’acciaio, perfetto nel costruire successi, stavolta ha fallito, non è riuscito a salvarla (una zia aveva preparato a Whitney Houston il vestito sul letto prima della festa, poi si è accorta che dal bagno non veniva nessun rumore), adesso deve almeno riacciuffare in tempo Bobbi Kristina Brown.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.