La macchina della verità di Obama
Gli uomini di Barack Obama nel quartier generale della campagna per la rielezione sono ossessionati dagli attacchi degli avversari e dai nomi altisonanti. Il “Truth Team”, la squadra della verità schierata dal presidente, coglie entrambi i tormenti.
Gli uomini di Barack Obama nel quartier generale della campagna per la rielezione sono ossessionati dagli attacchi degli avversari e dai nomi altisonanti. Il “Truth Team”, la squadra della verità schierata dal presidente, coglie entrambi i tormenti. Per rispondere accusa su accusa alle illazioni degli avversari a Obama non basta un ufficio stampa potenziato che corregge voci fasulle sul suo conto e riporta a galla la verità, serve un network di almeno due milioni di formichine che portano diligentemente la loro quota di verità; spin doctor e addetti stampa penseranno a incastonare ogni singolo pezzo in una narrativa efficace. Obama aveva fatto qualcosa di simile nel 2008 con Fight the Smears, portale denso di verità messe in dubbio da Fox News e i suoi derivati. Per questa tornata elettorale il presidente punta a raddoppiare il numero di attivisti che compongono la squadra della verità e l’indirizzo del vecchio sito porta automaticamente a una nuova destinazione, Attack Watch, avamposto della lotta presidenziale contro le false rappresentazioni create dagli avversari.
Ma questo è solo un pezzo della verità. Se all’inizio della sua ascesa le preoccupazioni del presidente riguardavano il certificato di nascita o la madrassa pachistana nel quale si diceva fosse stato educato, ora il fuoco è sui contenuti politici. Non basta più, dunque, rispondere agli attacchi ingiustificati, serve un apparato che guidi il contropiede sul terreno delle proposte. Per passare dal “questa è una calunnia” al “le vostre idee sono false e insostenibili” serve il Truth Team, battaglione diviso in tre squadre: oltre al radar primario di Attack Watch c’è Keeping Gop Honest dove si cerca di smascherare l’inconsistenza delle iniziative repubbicane e il fondamentale Keeping His Word, per spiegare che Obama ha mantenuto le promesse. Il corrispondente di Abc alla Casa Bianca Jake Tapper, uno che di palazzo ne capisce, ah se ne capisce, ha spiegato dall’inizio i potenziali problemi della squadra della verità.
Finché si tratta di spiegare che Obama è nato alle Hawaii e non in Kenya il gioco è relativamente semplice, quando tocca rispondere a Mitt Romney che lo accusa di avere “spinto Israele sotto l’autobus” si rischia di finire incagliati nel terreno delle interpretazioni (dire che l’alleanza è stabile è una cosa, sostenere che con Netanyahu c’è identità di vedute è un’altra, e questo è soltanto uno dei mille esempi). La forza della squadra della verità è il numero, fattore determinante nell’intera narrativa obamiana e che Ben La Bolt, il più smart dei suoi portavoce, non cerca affatto di nascondere, ma il cieco affidarsi al crowdsourcing può anche generare meccanismi complessi, tipo quello di applicare le stesse scorrettezze che si rimproverano agli avversari (criticare dichiarazioni senza riportarne il contesto è l’esempio classico). Il Truth Team è, da un punto di vista quantitativo, una macchina politica inarrivabile per qualunque avversario, ma i suoi ingegneri devono essere molto cauti se vogliono ottenere i risultati che sperano senza apparire ossessionati da ogni singola battuta degli avversari e drammaticamente “out of touch”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano