Recensione preventiva della fiction su Tortora perseguitato, sì, ma dal caso
Avvertenza: questo articolo, a rigore, non dovrebbe trovarsi qui ma nella busta sigillata di un notaio, da aprirsi solo dopo che RaiUno avrà trasmesso “Applausi e sputi”, la fiction di Ricky Tognazzi sul caso Tortora, le cui riprese sono appena iniziate. Si tratta di una recensione preventiva scritta con metodo selvaggiamente inquisitorio: l’esistenza stessa del crimine è dedotta da una serie di circostanze indizianti.
Avvertenza: questo articolo, a rigore, non dovrebbe trovarsi qui ma nella busta sigillata di un notaio, da aprirsi solo dopo che RaiUno avrà trasmesso “Applausi e sputi”, la fiction di Ricky Tognazzi sul caso Tortora, le cui riprese sono appena iniziate. Si tratta di una recensione preventiva scritta con metodo selvaggiamente inquisitorio: l’esistenza stessa del crimine è dedotta da una serie di circostanze indizianti. Prima circostanza: sarà un prodotto Rai trasmesso da RaiUno, con tutto quel che comporta. Seconda circostanza: tra gli sceneggiatori c’è un magistrato (un po’ come nelle fiction religiose è gradita la consulenza di un prete), per l’esattezza un magistrato-scrittore nostalgico del rito inquisitorio che sta al garantismo come Renzo “Trota” Bossi sta alla fisica delle particelle. Quanto basta per accantonare ogni presunzione d’innocenza. Segue dunque una recensione a caldo, scritta subito dopo (non) aver visto la fiction, con i migliori auguri di essere smentito.
Per venticinque anni, tolto un cauto “speciale” di Minoli, la Rai ha cancellato ogni traccia di Tortora. Ha mandato in onda repliche di qualunque insulsaggine fuorché di Portobello e ha fatto l’impossibile pur di svellere dalla memoria nazionale il volto più degno che abbia mai saputo proporre. Ce ne siamo lamentati a lungo, ma col senno di poi era meglio lasciar le cose come stavano: ci sono commemorazioni che invece di riesumare la verità di un uomo la tumulano ancora più a fondo. Cos’è che non va, in questa fiction? E’ presto detto. Il libro a cui è ispirata, l’esemplare “Applausi e sputi” di Vittorio Pezzuto, faceva risaltare a ogni pagina una verità che Tortora ripeteva sempre, e cioè che il suo caso era da considerarsi un capitolo del “caso Italia”. Qui invece il caso Italia torna a essere, banalmente, il caso Tortora: il ritratto intimistico, un po’ cristologico, molto lacrimevole, di un uomo “perbene” finito chissà come in un tritacarne infernale. Come poté attirarsi tanta disgrazia? A questa domanda la fiction risponde come l’Onnipotente a Giobbe: “Dov’eri tu quando io fondavo la terra?”.
Avrebbero potuto intitolarla “Tana libera tutti”. Colpa della procura di Napoli? Siamo seri, non potevamo aspettarci che una fiction Rai, frutto di mille trame diplomatiche, raccontasse il caso con la franchezza di un Pezzuto. Certo, i magistrati appaiono un po’ pasticcioni (errare è umano), ma senza l’ombra di quella “proterva, arrogante insistenza sul male fatto” di cui parlava Tortora. Nulla ci è detto del loro destino dopo i titoli di coda o delle promozioni di cui il Csm li omaggiò a babbo morto (dove il babbo è Tortora). E le colpe dei giornalisti, che assieme ai magistrati tirarono su il tendone del circo mediatico-giudiziario? Un buffetto di biasimo (senza far nomi) e via, assolti anche loro, dalle più osannate firme nazionali ai mezzibusti di quella Rai che Tortora definiva “aggregazione corallifera di mantenuti di stato, di rappresentanti della partitocrazia”. Vien fuori insomma che tutto fu colpa del destino e di un manipolo di pentiti, di quello psicopatico di Pandico e di quel vanesio di Melluso, che trassero in errore dei galantuomini impegnati sul fronte dell’emergenza.
C’è poi una parola che gli sceneggiatori hanno fatto i salti mortali pur di tener fuori: radicale. I giovani che ieri sera hanno visto “Applausi e sputi” senza saper nulla di Tortora non sospetteranno mai che quel signore tanto a modo fu negli ultimi anni della sua vita un leone, e un leone radicale. Non immagineranno mai che si spese fino all’ultimo respiro nella battaglia referendaria per la responsabilità civile dei magistrati, e che quella battaglia la vinse, e che la sua vittoria fu seppellita dalla viltà dei partiti e dall’invadenza della magistratura associata, in barba al popolo sovrano.
Così è la Rai, così è l’Italia. Non a caso la scena del primo compleanno di Tortora in carcere, pur così commovente, omette un episodio raccontato dal presentatore che compendia tutto il nostro gesuitico e cinico paese: “Sentii Pippo Baudo farmi gli auguri dal video, durante una trasmissione televisiva di Retequattro, ‘nel pieno rispetto della magistratura’. Lì per lì sorrisi perché non immaginavo che, nel rivolgere gli auguri a qualcuno, occorresse sottolineare il proprio pieno rispetto per la magistratura. Ma poi mi resi conto che Baudo riteneva forse di essersi esposto anche troppo e, nell’infilarmi a letto, ringraziai il caro Pippo col pensiero: nel pieno rispetto della magistratura, s’intende”. Ecco, “Applausi e sputi” racconta la storia di Tortora “nel pieno rispetto della magistratura”, e nel pieno rispetto di tutti i poteri tra le cui pressioni deve barcamenarsi il carrozzone Rai. E noi, che come Tortora quel rispetto lo coltiviamo assai meno, ci troviamo quasi a rimpiangere i venticinque anni di rimozione.
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